All posts tagged: fotografia

French Wine – mi sono fatta un giro tra le foto di Alessandro Vullo

French Wine è un documentario che racconta la vita di un gruppo di lavoratori stagionali durante il periodo dei raccolti e della vendemmia nel Sud Ovest della Francia.  Ho con me due fotocamere, una Mamiya 645 con Kodak Portra 400 e fuji proH 400 e una Nikon FM con Fuji Superia 200 e 400. Alla fine dello scorso Agosto mi reco ad Agen, una cittadina situata 100 km a nord di Tolouse, dove un amico mi introduce nella comunità anarchica di Bon Encontre.  Da qui parte il mio viaggio, prima attraverso la valle del Lot, poi nella regione di Bordeaux, fino alle spiagge dell’Oceano Atlantico.  Il gruppo è eterogeneo: Italiani, Spagnoli, Francesi, Punk dalla repubblica Ceca, persino qualche Sudamericano. Gente di ogni età, in gruppo o solitari, veterani o alla prima esperienza. Ho vissuto e lavorato con loro. Abbiamo condiviso la fatica, il cibo, il fuoco e il vino. Mi sono guadagnato la fiducia di queste persone, diventando parte della quotidianità della loro famiglia allargata, della loro tribù. In questo mondo Libertà e Sacrificio sono indissolubilmente …

Ista é Lisboa. E non si traduce

Una dis-guida non convenzionale [di Disguido Luciani foto di Rosa Lacavalla] Si va lenti, ma tanto lenti, a Lisbona, così tanto che dopo qualche accelerata casuale per superare la vecchina di turno, e qualche smadonnata di troppo, quasi ti abitui. Deponi la fretta, l’ansia. Deponi pure la velocità. E, sì, va bene, tudo bem: vai lento anche tu. E, così, velocemente, impari ad andare lento, impari il ritmo lento di Lisbona. Impari ad aspettare minuti davanti a casse vuote e cassieri assenti, ma sai che sarai ricompensato. Perché quella cassa vuota sarà riempita da un ingombrante sorriso a mille denti del cassiere fino ad un attimo prima assente. E quando qualcuno urlerà obrigado, un semplice “grazie”, gli altri attorno a lui, ma tutti gli altri, coinvolti o meno da quel grazie, risponderanno allo stesso modo. E partirà una ola di obrigado, un coro di voci con accenti diversi. E sorrisi. I più ampi che io abbia mai visto. Come il cielo sopra la città con l’acqua in basso a fargli da specchio. Che, vero o …

Cotto al dente: Dido Fontana a Miami

utter Gallery, Miami. Ecco dove dovresti essere. A un grande evento, in un luogo spettacolare, con gente intorno che si agita, si infiamma e sorride, gente che ama l’arte e per questo davvero se la gode, in modo non convenzionale. E la musica che tiene il ritmo di Churned, un evento nell’evento — straordinario — diventato ormai un appuntamento imperdibile ogni anno a Miami per l’apertura di Art Basel, fiera internazionale d’arte contemporanea, trasformando la settimana in un mega evento culturale denso e dinamico che esprime stili e tendenze fortemente innovative. Ecco dov’è Dido Fontana. Lì, a Miami. Pronto giusto un attimo prima di quello che indicano le istruzioni (cit.), già il 5 novembre scorso ha inaugurato alla Butter Gallery la sua personale Cotto al dente, frutto di un’in-solita illuminata collaborazione tra Golab Agency, BeArt e Prixartprinting. Gigantesco, Dido Fontana. L’installazione, al solito, sorprendente. Innamorato com’è delle persone e della realtà così com’è, le mette in bella mostra dilatando lo spazio, prendendone quando più possibile, celebrandone sfacciatamente la bellezza. L’esposizione occupa totalmente le pareti della galleria ed è frutto …

Costruiremo mondi sul niente, e poi li abiteremo.

di William Dollace «Un jour, on construira des villes pour dériver.» Guy Debord — Théorie de la dérive — 1956 La sconfitta. La deriva. La sconfitta è il portiere di una palestra che non esiste, da tempo scandito e candito dalle sue abitudini, il guardiano del niente, la luce verde dell’abitudine, alieno di sostanza. La deriva sono i totem di gasolio, disserviti dal loro servizio, impossibilitati a guardarsi fra loro ma a guardare nella stessa direzione, per sempre, monumenti, sculture di metallo semivuote. La sconfitta è una televisione che parla a sé stessa, megafono semantico in una stanza che potrebbe essere un’astronave nello spazio servita da televendite per alieni, costumi e culture lanciate come da un megafono per posteri che han deciso di abbandonare la loro poltrona. Julien Lombardi costruisce set che potrebbero stare ovunque, poltrone indirizzate a nessuno, lirici tentativi di darci in pasto alla deriva. Alla sconfitta. Questo lavoro di cesellamento della solitudine non mostra paura, rimorso, rimpianto, tale è, episodi solitari incendiari che viaggiano, fino al termine della notte. Piattaforme, in cui il suicidio del movimento ha lasciato …

God save the Punk

È una mattina di fine luglio. Sembra presto ancora e già Milano brucia. Salendo a spirale i gradini di 10corsocomo si avvertono delle voci in lontananza. Religioso silenzio tutt’intorno e, nell’aria, quell’unica voce rauca e sgraziata urla I AM AN AN — -T-I-CHRIST I AM AN AN-ArCHIST! È il 1976 quando esce Anarchy in UK, il primo singolo dei Sex Pistols, imprescindibile atto di nascita di quel movimento straordinario che sta per esplodere e travolgere tutto. E lui, Johnny Rotten il marcio, il supereroe anarchico, con il suo grido forte e inarticolato mi accoglie all’ingresso della galleria: Don’t know what I want but I know how to get it I.want to destroy the passerby ’cause I want to be anarchy. No dogs body Inizia qui, così, l’ascesa agli inferi di Punk in Britain, tributo a celebrazione di una delle subculture più potenti del Novecento. Allestita in occasione dei quarant’anni della nascita del punk: oltre novanta scatti in bella mostra, un percorso fotografico a sezioni, un’occasione per ri-scoprire il fenomeno che ha sconvolto e stravolto un’epoca e che non è mai …

La giungla d’asfalto di Arthur Fellig

di William Dollace Bianco e Nero. Nero come la cronaca e bianco come il lenzuolo che la ricopre. La città è uno sconfinato ring di cemento senza corde, sopra il quale resistere fino all’alba. I meno allenati gettano la spugna già a notte fonda: annegati negli alcolici, accoltellati da prostitute, crivellati dai colpi oppure appesi per il collo a lampioni, scalzi e cianotici. Il fascino e la violenza, nell’insensibilità alla luce rossa di camere oscure e motel ad ore, si mescolano agli agenti chimici in vaschette per lo sviluppo fotografico. Nessun compromesso estetico o sfumatura di colore. I corpi delle vittime vengono ripescati da pinzette professionali e lasciati appesi a sgocciolare, fermati da mollette di legno. Lo stesso flash di un colpo di pistola in faccia. Successivamente, il bianco saturo inizia a trasformarsi nei contorni macabri di fotografie di sconosciuti congelati nella loro ultima plastica resistenza alla morte. Vite inermi, nel loro perpetuo abbraccio con l’asfalto. Nauseati dal cloroformio che li ha storditi e baciati dalla violenza che li ha sorpresi. Cibo confezionato in abiti …

Luoghi in bianco e nero, di Luca Scarpa (EDITORIAL)

Luca Scarpa è uno dei fotografi che più stimiamo (la lista è abbastanza lunga). Abbiamo conosciuto lui e i suoi lavori attraverso Instagram, social network non solo popolato da primi piatti e gambe in riva al mare. I suoi scatti ripropongono la splendida aura di un’architettura ricca di sfumature sottili difficili da cogliere a prima vista. Gli edifici che si innalzano lungo le vie delle città europee consentono all’osservatore di rinascere nuovamente, questa volta con un sguardo critico rafforzato dalle emozioni che l’opera stessa trasmette. All’architettura, Luca affianca la fotografia ritrattistica, fonte continua di inestimabile bellezza. Con grande piacere abbiamo scelto di pubblicare questo suo editoriale curato esclusivamente per noi di Casa di Ringhiera. Luca Scarpa nasce a Milano, città dove vive e abita, si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano. Il suo lavoro di ricerca fotografica è incentrato sui luoghi, sul paesaggio urbano e sui dettagli che cerca nella vita di tutti i giorni. Scatta principalmente in analogico, alternando il medio formato al classico 35mm. L’architettura è solo un punto di partenza, il …

Le centrali elettriche di Mitch Epstein

Quando di un posto non puoi farne a meno, e sei costretto ad essere a diecimila chilometri di distanza, scegli tutti i mezzi possibili per adorarlo, per celebrarlo e appropriarti di quel poco che basta a farti sentire poco più vicino del solito. Negli USA non ci ho mai messo piede, e credo che non ce lo metterò nemmeno in un futuro prossimo — a meno che non trovi per strada una valigia che stracolma di soldi. Questa mia fissa, o necessità di sentirmi partecipe di una cultura che non smette di influenzare le menti in lungo e in largo, è scaturita da anni di letture, di film visti in una cantina adibita a ritrovo per ogni tipo di persona passasse dalle quelle parti, nonché rifugio per sere gelate e pomeriggi assolati che si scagliano contro una saracinesca di metallo, rendendola rovente quasi quanto l’acciaio dell’Ilva di Taranto. A questi fattori si aggiunge la musica dei bassifondi newyorkesi, delle spiagge californiane e dei boschi degli stati del nord. Infine, in questi viaggi da fermo che conduco ogni …

Forme di amnesia

Disintegrata la Jugoslavia di Josip Tito, restano sull’erba, sparpagliati tra Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Macedonia, i rottami di una plumbea architettura celebrativa. Privi di energia e vuoti di significato, questi totem brutalisti si rivestono, attualmente, di un senso post-datato. Gli Spomenik, concepiti in un contesto di unità nazionale fittizia ed eretti dalla forza persuasiva di un regime dittatoriale, oggi ci appaiono monumenti commemorativi di un’amnesia necessaria a dimenticare il trauma post-ideologico. Metafore di concetti dismessi ed aiutate dalla furia degli elementi, queste ferite cementizie attendono di rimarginarsi nella profondità di un limbo della memoria, morsicate mortalmente da una natura vorace e per niente recalcitrante alla densità del granito. Potere ed architettura si sono fusi in questi gusci. La loro forma e la loro sostanza sono in continuo mutamento, come due liquidi impossibilitati a mescolarsi. Un tempo concepiti per contenerne l’aura patriottica necessaria ad illudere etnie diverse circa una possibile convivenza imposta, oggi ci appaiono come la mappa di un’installazione aliena, fruibile attraverso una campagna rigogliosa, ma irrigata dal sangue di migliaia …

La montagna ti ha scoperto.

di William Dollace Hai scoperto la montagna. Scoperchiato metri di altitudine, vigilato sulle rocce, oltrepassato le ringhiere di legno. Le mucche, le capre, ti guardano con beata indifferenza. Sei un passante, non un colpo vincente, per loro. Hai scoperto la montagna e la montagna ha scoperchiato te. Lassù dubbi, paure, preoccupazioni, intrusioni, scompaiono a vista d’occhio, insegnandoti l’umiltà, il capo chino e poi aperto a un cielo a cielo aperto, insegnandoti a seguire il sentiero, a salutare chi incroci, un codice di educazione che trovi ormai soltanto lì, fra le rocce, sulla polvere e fra i rododendri. Hai fissato il mare, ma una volta entrato in acqua, ti sei bagnato di pensieri, ti sei asciugato al sole, sporcato di sabbia e crema, il mare è rimasto, l’abbronzatura se n’è andata. Invece in montagna, hai fissato i sassi da tremila metri, le croci in cima a sancire non solo la cima, ma l’inizio della via del ritorno, annusato il legno invecchiato dei tavoli all’aperto, rimodellato zone di silenzio e di caccia ai simboli, ti sei informato sulle …