Troppo piccolo per correre, di Merritt Tierce

Troppo piccolo per correre è un racconto di Merritt Tierce, scrittrice uscita da poco in Italia con il romanzo Carne viva per Edizioni Surtradotto da Martina Testa. Il racconto è apparso sul magazine PANKnel dicembre del 2010. Di seguito trovate una traduzione di Mariateresa Pazienza.

K sta per Kavanagh e Kay, che sono rispettivamente il nome e il cognome del mio ultimo amico offline. Anche mia nonna, che ebbe due figli prima dell’invenzione del transistor, ha un account AOL¹. Mia zia deve controllare le e-mail della nonna perché ha 85 anni e, nonostante cammini col bastone e si muova ancora con la sua Buick LeSabre per andare in chiesa, non riceve tutto lo spam che invece ci ritroviamo noi che siamo sempre connessi, che sappiamo di non dover rispondere. Kay paga le sue bollette con un francobollo e fa dei viaggi in macchina con un atlante di Rand McNally del ’92 comprato per un quarto di dollaro a una vendita di oggetti usati nel ’99.

A volte non so dove sia, altre volte è con me. Ecco perché gli voglio bene. Io e i miei amici siamo in transizione in stati eterei. Intendo dire che non siamo più dove sono i nostri corpi. Ho sentito di una domanda posta ai candidati per entrare a Yale: Tu sei il tuo corpo? Kay si definisce come una creatura, con gioia. “Sono una creatura”, dice mentre si stiracchia, poi dice “dannazione quello che hai fatto era un movimento umano.” Quando arriva si avvolge intorno a me, chiude gli occhi e fa il suono spoglio del vento in una bottiglia di vetro. Non compra mai nulla che sia in plastica. Compra solo bottiglie di vetro e le conserva, oggetti di storia del consumo.

Io dormo col telefono in mano. Non che abbia paura di non rispondere ad una chiamata. Non sopporto parlare al telefono, di solito non rispondo e non richiamo. Questo perché invio messaggi e spero in una risposta prima di addormentarmi. Odio i testi verbali e tutte le sue forme. Un telefono non è una persona. Il telefono ha trasformato il testo in una persona. Il telefono ha sostituito se stesso con un corpo che posso abbracciare nel mio letto.

Mentre aspetto che una e-mail mi salvi, lui guarda un cervo pascolare nel Montana e beve caffè a Bonners Ferry. Scrivo su Google bull elk image perché ho ricevuto la sua ultima cartolina e voglio vedere ciò che ha visto lui, anche se so che non è lo stesso. Sono stato seduto di fronte a Kay in così tanti bar che mi sembra di vederlo mentre guarda fuori dalla finestra con la tazza tra le mani. Vedo la sua gentilezza nei confronti della cameriera, la concentrazione mentre disegna l’Idaho per me e il puntino per farmi capire dov’è Bonners Ferry. Decido di googlare Bonners Ferry.

Ha un cellulare. L’ha ricevuto l’anno scorso, nel 2009, aveva 38 anni. A volte non lo accende per settimane. Lo tiene in mano come fosse un telecomando, a due mani, come se fosse un’arma con chissà quali poteri. Mi manda messaggi che sembrano telegrammi, che sono anche più rari delle sue cartoline: “vongole arrosto, birra. Elliott Bay”. È tutto ciò che devo sapere prima di ritrovarlo seduto alla sdraio di fronte al mare. Una creatura aperta ad esso.

Di notte, mentre sono nel letto, gli scrivo: “Sono insoddisfatto del rapporto tra quanto ti penso e quanto parliamo al telefono” e risponde con miracolosa rapidità, come tutti gli altri: “10:4” Mi siedo, gli scrivo: “Esattamente.” Invece di scrivergli: “Perché 10:4 invece di chiamare?” Riesco a vederlo nel suo camion in Canada. Soffre di cattiva circolazione e le punte delle sue dita devono essere totalmente ghiacciate. Quando ha ricevuto il mio messaggio ha sorriso. Un telefono non è una persona.

“Vorrei che tu avessi un cuore bluetooth così potrei connettermi a te quando sono attivo”, gli scrivo. Quattro giorni dopo: “bluetooth?”

Ha portato cinque diversi tipi di vasi a casa mia, da quel paese, dal suo viaggio. Erano sistemati in custodie di plastica: il contenitore da dieci centesimi era di resina pura, quello dei nichelini ce lo aveva mandato mentre era in un paese di pianura, alla ricerca del punto più alto. “Se non vedo una stella, posso anche morire adesso”, diceva. Io cerco sempre lui, lui cerca sempre il cielo.

“Insegnami a cambiare le marce”, gli scrivo. Con la forma breve puoi scrivere cose a caso, puoi dettare un pensiero senza cura, come quando scoppi una bolla di sapone. Gli scrivo: “Torna e insegnami a non odiare questo piccolo schermo.” Passano tre settimane, allora mi chiedo se non sia morto e come lo verrò a scoprire. Mia nonna mi scrive in una e-mail che ha colpito una cassetta della posta con la Buick. Poi mi dice: “Sto insegnando a un sasso a parlare.” Kay sta andando verso sud. Attacco la Pacific Coast Highway sul freezer.

So chi viaggia con lui nel camion, nella sua polverosa borsa di pelle. Dillard, Maugham, Kerouac, Jung. Benjamin tra gli psichedelici. Lui legge come gli altri ascoltano musica, legge dei libri in loop. Penso che il suo legame col Prima e Dopo sia più forte di molti matrimoni. Scrivo su Google Kavanagh Kay e risultano un sacco di donne, mando una e-mail a mia nonna per farla ridere.

¹: America Online Inc.

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