Tracce Dalle Rovine

Tre o quattro giorni fa ero in veranda, seduto in un piccolo quanto modesto divano a due posti, cercando di cogliere una leggera brezza che avrebbe di lì a poco tenuto a freno la temperatura del mio corpo. Erano le nove del mattino e l’aria pugliese era già irrespirabile. Sotto una coltre di afa assai umida che ostacolava l’erezione del Gargano, lessi ormai le ultime pagine di quello che restava di Dalle Rovine (Tunué, 2015) di Luciano Funetta. Quella stessa mattina ho anche inaugurato la mia prima Instagram Stories, ma di questo non c’è più traccia — forse qualcosa ne è rimasto negli archivi di Zuckerberg.

Pur apparendo inappropriato, tirare in ballo la storia del contenuto che resta visibile solamente per un giorno si collega direttamente a quello che accade all’interno del romanzo, ovvero ad un continuo ritrovamento di tracce che conducono in altre dimensioni personali che fanno capo ai diversi personaggi che affollano la narrazione. La storia di Rivera è nota a tutti. Se ne è parlato in lungo e in largo, tanto da occupare la vetta di questa operazione Tunué magistralmente orchestrata da un editor del calibro di Vanni Santoni. La nomina al premio Strega è stata la cosa più ovvia che sia potuta capitare ad un romanzo come questo. Ma perché Dalle Rovine, a distanza di quasi un anno dalla sua uscita, sì è visto catapultato al centro delle attenzioni letterarie di questi ultimi mesi dopo una lunga serie di rifiuti e proposte di modifica?

Ecco, Dalle Rovine è un romanzo che parla ad alta voce pur sembrando scherno e distratto alla movida del momento. Rivera è un uomo che decide di mettersi in gioco, si filma e chiede al proprietario del cinema hard di mostrare quei pochi minuti di registrazione a quei pochi spettatori abituali che frequentano le poltrone fradice di sperma. Inconsapevolmente Rivera lascia una traccia, la sua traccia, la stessa che per poco più di undici ore rimarrà in rete riuscendo ad ottenere migliaia di visualizzazioni. Il risultato è una pornografia ibrida che incontra l’animale e se ne appropria, trasferendo in lui la follia che abita e nutre l’uomo in ogni suo singolo istante di vita.

Quando Rivera mette in circolo il suo lavoro emerge il suo lato incosciente che si affida completamente alle mani sprovvedute dell’inaspettato. Quelle che raccoglieranno il suo seme sono invece mani esperte, mani che conoscono benissimo le tasche del pantalone di colui che lo indossa. Sono le mani di Birmania, uno dei registi/produttori più famosi nella scena hard. Provvederà alla direzione delle riprese, alla scelta del regista e della protagonista femminile. A Rivera non spetta altro che curare i suoi serpenti.

Dopo il successo de Lo Specchio — la loro opera cinematografica –, Rivera stringerà altre mani, altre vite totalmente sconosciute. La prima, quella di Traum, e la seconda, quella di Tapia. La sua inconsapevolezza che contraddistingue il tratto sempre vivo di un uomo pronto ad ammirare il proprio volto riflesso nelle cose che lo circondano, che abitano il suo contesto folle e scalmanato anche dove non sembra, farà sì che Birmania e Traum assumano il ruolo di maestri, mentori di cui lo stesso Rivera è sempre alla ricerca.

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Luciano Funetta

Per tutto il romanzo si concretizza l’idea di un’inafferrabile sorte che di lì a poco colpirà i personaggi. Durante il pieno svolgimento della narrazione, complice la scelta della prima persona plurale come voce narrante, si percepisce un clima di ansia e tachicardia lento che pian piano ti toglie il fiato opprimendoti il petto all’altezza dello sterno. Si percepisce quasi la stessa tensione che Kafka libera nel suo racconto Nella Colonia Penale (Leone, traduzione di Danilo Laccetti). La macchina infernale dell’ufficiale militare è la stessa costruzione che toglie la vita così come lo fa il copione di Tapia Dalle Rovine — da cui prende il titolo il romanzo. La tortura diretta del primo precede la tortura indiretta del secondo. La follia del suo autore, come quella finale di colui che ha costruito la macchina della colonia di Kafka, toglie la vita prima a Birmania e poi a Traum.

I due maestri, i due mentori, crollano definitivamente nella stessa casa di campagna, lontano dalla confusione di Fortezza. Rivera realizza la morte di due uomini in cui aveva riposto al sua carriera nel cinema porno. Assiste così al manifestarsi dell’assenza, realizzando la morte di due figure importanti, due mentori di un mondo diverso dal solito. La vera mancanza, in fondo, non viene mai percepita sul serio. Il protagonista continua a stare nella stessa casa con un cadavere — quello di Traum –, percependo il volto che assume un vero snuff movie nel suo massimo significato del termine. La sofferta agonia di Traum, la sua morte lenta, si concretizzano perfettamente all’interno delle mura domestiche, lasciando Rivera a bere una birra al mattino seguente. Tapia non mette in pratica il suo copione, ma sceglie di condurre le sue vittime verso la disperazione più totale. Il dvd ritrovato nella biblioteca di Birmania contenente la morte in presa diretta della giovane Dora Lorenzi, mette in moto un’ondata di terrore già accennata nei sogni dello stesso Rivera, un terrore che vive nel copione di Dalle Rovine e nei volti dei cinque uomini di spalle al muro della chiesa.

I bicchieri di liquore e le cicche che riempiono il posacenere di Rivera mostrano un lato duro che rafforza il personaggio. Funetta ha scritto un romanzo dal sapore tetro, quasi sudamericano, consumato dagli anni di vita persi nell’inutilità dal protagonista, ma ricco di una forza vitale che si spinge oltre il davanzale delle finestre della casa di Birmania. Leggere Dalle Rovine è come fissare a lungo una lampadina accesa. Dopo, quando provi a volgere lo sguardo da un’altra parte, quello che rimane ai tuoi occhi è un alone fluorescente che invade il campo visivo. Rimane fisso come un evento che non riesci a rimuovere dalla tua mente.

Ho chiuso il libro il libro tre o quattro giorni fa. Da allora il caldo è diminuito, lasciando spazio alla bellezza espressiva dei temporali estivi. La coltre di afa umida è andata via con il fumo delle sigarette di Rivera. In veranda c’è ancora qualche traccia di Dalle Rovine. Per il resto tutto è al solito posto.

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