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Ho te: l’intimità di un diario fotografico

Lo scorso 17 ottobre, presso la Chourmo EnoLibreria di Parma, è stato presentato Ho te, progetto fotografico di Alessandra Pace e Fausto Serafini. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 14 novembre. Un uomo è seduto sopra un divano rosso con dei dettagli chiari, quasi dorati. Poggia la sua mano sinistra sulla gamba di una donna seduta proprio sul poggiatesta. I due sono quasi uno parallelo all’altra, come se tutto fosse il frutto di un calcolo effettuato con estrema precisione. Dall’esterno della stanza proviene una fascio di luce che investe entrambi con un bagliore arancione — il volto di lui e gran parte del corpo di lei. Sulla parete si intravedono delle cornici che conservano foto e dipinti. Una pianta — forse una Kenzia — sembra voler invadere il campo, ma rimane timidamente sullo sfondo bianco. Non c’è alcun componente di questa immagine che sia fuori posto. Tutto rispetta la sacralità dello scatto della macchina fotografica. Ci si applica nello scegliere l’istante giusto e il gioco è fatto. Osservando attentamente l’immagine sopra descritta mi viene spontaneo associarla ad una di quelle situazioni carveriane che tanto irrompono nelle pagine …

Quando il fotografo si fotografa

Vi siete mai trovati davanti allo stereotipo del fotografo che non si mostra mai? Sì, quello in cui l’artista è solo dietro il mirino della sua macchina fotografica. Di recente nei vari contenitori di immagini sul web si assiste a un fenomeno contrario: il fotografo ritrae sé stesso. La maggior parte delle volte è una questione di narcisismo, ma ci sono casi in cui chi si fotografa non è solo un semplice amatore della fotografia che vuole mostrare ai suoi amici le sue gambe al mare o sé stesso in compagnia di altre persone per esibire la propria vita reale in rete. Chiariamo alcuni aspetti, andando nello specifico di un genere fotografico molto particolare. Nella ritrattistica si vuole catturare l’istante preciso in cui l’espressione di chi viene fotografato non si ripeterà mai più. Ciò che viene immortalato è un momento esatto nella vita di qualcuno. Ora, lasciando da parte lo sdoganatissimo e odiosissimo selfie, anche nella fotografia internazionale ci sono esempi di artisti che hanno scelto sé stessi come modelli. Prima fra tutte Cindy Sherman, fotografa statunitense famosa per Untitled …

La fotografia di Christopher Anderson

Nato in Canada nel 1970, Christopher Anderson è uno dei maggiori fotografi riconosciuti a livello mondiale. Cresciuto nella zona occidentale del Texas, i suoi lavori di reportage lo hanno visto impegnato in zone di guerra quali Iraq e Libano. Ha ritratto anche alcuni dei momenti decisivi del conflitto tra israeliani e palestinesi. Le sue opere ebbero notevoli riconoscimenti a partire dal 1999, quando lo stesso Anderson decise di imbarcarsi su una nave popolata da migranti haitiani pronti a sbarcare sulle coste statunitensi. Il viaggio non andò a buon fine, dato che la barca affondò appena prese il largo. In seguito, questo reportage venne premiato con la Robert Capa Gold Medal nel 2000. Nonostante il suo impegno nel campo del reportage delle zone di guerra, ha sviluppato diversi documentari sui protagonisti della scena musicale pop e del mondo della moda. Attualmente Anderson vive a Brooklyn. Lavora per il New York Magazine ed è membro della Magnum Agency. Di sotto alcuni suoi scatti. Fonte immagini Magnum Agency. Christopher Anderson: Site Web | Instagram | Facebook | Twitter

Ophelie Rondeau e le ragazze

Ho visto per la prima volta i suoi scatti poco più di due mesi fa, su Instagram. Rimasi colpito dalla naturalezza che veniva fuori dalle foto dando un primo sguardo. La maggior parte di loro, se non tutte, ritraggono ragazze. Ophelie Rondeau è una fotografa francese, nata nel 1987. Attualmente vive e lavora a Londra. Il suo progetto è partito ufficialmente lo scorso Febbraio. Le sue fotografie immortalano pezzi di vita in analogico. Dalle pellicole trasuda tutto il fascino segreto di un momento non calcolato, quasi spontaneo — ad un occhio superficiale potrebbe sembrare banale. A far da contesto c’è la bellezza non indifferente della vecchia pellicola fotografica: un mix di fattori che demarca il confine tra presente e passato. Il contemporaneo incontra il vintage. La scelta di ritrarre ragazze impegnate in semplici attività — una partita a tennis o una passeggiata nel parco — sorge dal bisogno di dare alla fotografia un’impronta sincera, all’insegna di quell’originalità tanto amata quanto ricercata. Alcuni suoi progetti sono stati pubblicati su Sticks And Stones Agency, C-Heads Magazine e Saylor Mag. Di seguito alcuni scatti: Ophelie Rondeau: Site Web | Tumblr | Instagram

Bob Dylan negli scatti di Ted Russell

Era la fine del 1961 quando il fotografo Ted Russell si trovava a New York. In quei giorni ricevette una chiamata da un amico che gli parlò di un giovane cantante folk molto simile a Woody Guthrie. Russell non conosceva affatto lo scenario della musica folk. Lui amava il jazz, e fino a quel momento non sapeva di cosa stesse parlando il suo amico quando gli consigliò di immortalare le gesta di un Bob Dylan poco più che ventenne. Ebbe così modo di scattare delle foto proprio durante la sua esibizione al Gerde’s Folk City. Lo stesso Russell ammise che in quel momento non fece minimamente attenzione a quello che accadeva musicalmente. Si concentrò a guardare nel mirino per tutto il tempo — attratto a sua volta dalle piccole dimensioni del club –, immortalando gli instanti di colui che divenne il più celebre cantautore statunitense. Alcuni giorni dopo quell’esibizione, Ted Russell fece visita al menestrello nel suo appartamento del Greenwich Village. Dylan era con la sua ragazza Suze Rotolo. Russell chiese ai due di comportarsi come se fossero completamenti soli, per nulla …

Il vero nella Street Photography

La bellezza della Street Photography è racchiusa all’interno dello scatto stesso che abbiamo davanti ai nostri occhi. Soffermandoci sui particolari, comprendiamo quanto tutto sia magnificamente spontaneo. Non c’è nessuna messa in posa obbligata. Nessuno sorride a comando come nelle foto che abitano gran parte delle nostre case — perlopiù quelle contenute negli album di famiglia. I denti sono tenuti ben nascosti dalla spontaneità delle espressioni immortalate in un determinato momento, e quel momento diviene a sua volta manifesto della purezza di ogni singolo individuo ritratto, di ogni singolo istante. Tanti sono i modi che consentono di falsificare la realtà. L’arte, in assoluto, permette di varcare i limiti di tutto ciò che si presenta ai nostri occhi. Ad esempio nella letteratura — ma nell’atto di scrivere in generale — c’è la rivalità tra fiction e non fiction. Stessa cosa avviene nella pittura: innumerevoli sono i dipinti che raffigurano veri e propri viaggi utopici condotti in prima persona dall’autore, contrapposti a loro volta a quelle opere che comunemente riconosciamo come ritratti. In un mondo in cui tutto viaggia alla velocità della luce, e che pretende sempre il massimo dell’efficienza, …

Il selvaggio negli scatti di Corwin Prescott

Il nostro immaginario comune è abituato a rappresentare gli Stati Uniti secondo le classiche figure che sono in circolazione da diverso tempo. Ormai sono sempre le stesse. Grattacieli, strade larghe ed interminabili, mega uffici, taxi gialli e fast food che spuntano ad ogni angolo della strada come fossero funghi. Stando alle parole di chi ci è stato per davvero oltre oceano, le cose stanno sul serio in questo modo. Una serie di non luoghi che accomunano una grande metropoli come New York a quelle cittadine di provincia fatte di squallidi motel e bar fatiscenti. Penserete che lì tutto sia plastico, freddo. Un posto privo della capacità di suscitarvi qualsiasi genere di emozione. E invece vi sbagliate. È questa la particolarità che contraddistingue un paese come gli Stai Uniti da sempre impegnato a diffondere il suo modello di sviluppo e di successo in giro per il mondo. In questo caso, la sua architettura contraddistingue i tratti di un luogo che lascia il segno in ognuno di noi già al primo sguardo. Oggi, per assaporare nuovi scenari che ci consentono di …

Sylvia Plachy e il substrato della realtà

Da qualche tempo c’è un pensiero che mi ronza nella testa: gli artisti ungheresi hanno qualcosa in più rispetto agli altri. L’artista che vi voglio presentare oggi è Sylvia Plachy, una fotografa che ha trascorso i suoi primi tredici anni di vita in Ungheria e che, proprio come Agota Kristof, (di cui vi ho parlato qui) nel 1956 è fuggita dal suo paese sconvolto dalla rivoluzione. Dopo la fuga la giovane Sylvia va a vivere a New York con la sua famiglia. Sarà suo padre a regalarle la prima macchinetta fotografica. Il regalo non è un caso: si tratta di un modo per farla sentire meno sola dato il recente sconvolgimento della sua vita per la fuga dal paese natale. Così Sylvia comincia a fotografare per ritrovare sé stessa, facendosi subito notare da nomi del calibro di André Kertész. Ho conosciuto il lavoro di Sylvia Plachy grazie a un interessante documentario trasmesso da Rai5 nel febbraio del 2013. Il documentario in questione, Close Up: Photographers at work, che risale al 2007, comprende la presentazione dei lavori e degli …

Addio a John Hopkins

Quello che vedete ritratto sopra è John Hopkins. Dei fotografi si dice che raramente si lasciano immortalare — un po’ come la storia del DJ che mette la musica alle feste solo perché non sa ballare — invece di lui abbiamo abbastanza materiale per ammirare i suoi usi e costumi. Hoppy, com’era solito farsi chiamare da amici e fans, è morto lo scorso 30 Gennaio a Londra. Aveva 78 anni. Tutti lo conoscevano per la sua attività di fotografo, reporter e giornalista, ma non solo. Ha ricoperto un ruolo di tutto rispetto nella scena della cultura underground a partire dagli anni 60. Iniziò a fotografare dopo aver ottenuto — sprecata volutamente, nel pieno delle sue facoltà — una laurea in fisica all’Università di Cambridge nel 1957. Di lì a poco ricevette in regalo una macchina fotografia, la stessa che gli consentì di iniziare a scattare i primi lavori per le maggiori riviste inglesi di quegli anni. Da annoverate tra le sue creazioni ci sono: la rivista anarchica The International Time e il club UFO. Il giornale nacque nel 1966 — pare con l’aiuto economico di Paul McCartney — a …