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Il germe dell’attesa.

L’attesa, quando arriva, non si può dirle niente. Non un insignificante rimprovero. Non un ammonimento biascicato, non un avvertimento trascinato fra palato e lingua.  Il germe dell’attesa arriva con la noncuranza di una barba non fatta e i capelli in disordine. Arriva con quel particolare gusto nell’aspettare davanti alle porte, prima di spalancarle. È l’attesa raminga, della salvaguardia a ogni costo, delle unghie infilate nelle poltrone. Le attese sono bicchieri colmi di lombrichi su tavole disinfettate, sono un microscopio fatto con resti di macchine fotografiche in rovina e cannocchiali ricavati con vetrini introdotti in un ramo. L’attesa passeggia accanto alla stanchezza. E tira le maglie come un furetto molesto alla ricerca di un cielo stabile sotto nuvole schizzate dal sole, fronde scure e epidermide secca. È un viso costantemente in ricerca di mani aperte e visiere per pensieri. Marchingegni lucenti per denti e macchie di lampone sulla pelle. Ci misuriamo le ossa, e in attesa, respiriamo il suono degli usci.

Le coppie che aspettano

Jana Romanova è una fotografa russa nata nel 1984 e laureata in giornalismo. I suoi progetti fotografici sono incentrati sul senso di comunità e di identità collettiva che emergono dai territori dei Paesi post-sovietici e dai volti pieni di storie che lei immortala. Una ventata di freschezza e morbidezza è data da un lavoro che mi ha colpito in particolare, chiamato waiting: come dormono le coppie quando aspettano un figlio? Ebbene, è un tema originale perché mostra in modo speciale quei futuri genitori nei loro letti, tra la spontaneità e la naturalezza delle prime luci del mattino. L’artista era ovviamente presente nelle loro stanze, accolta nel calore delle loro case anche se estranea, come lei stessa spiega, da una grande fiducia. Non penso che siano stati scatti impostati, anzi immagino Jana che verso le ore 6 si alza dal divano del salotto su cui dormiva, senza far rumore entra nelle loro stanze e sale su una scala, per cogliere quei momenti così tanto traboccanti di intimità. I corpi, probabilmente esausti, riposano ancora, alcuni sono abbracciati, …

«Hanno suonato?» ovvero l’ansia da consegna

Quando sento le storie che riguardano i tempi di attesa di tale negozio del mio paese, rimango estraneo. In fin dei conti, data la mia età, non ho poi provato così tanto cosa vuol dire passare e ripassare dal commerciante di fiducia a chiedergli dove si trovava in quel momento la merce che gli avevo fatto ordinare per conto mio. Non sono poi così tanto giovane: all’entrata in vigore della moneta unica avevo 11 anni. Qualche videogame l’ho atteso anche io, ma non con quel sentimento che accomuna gran parte delle persone nate prima di me. Mi sono trovato dinanzi al boom della rete senza fare nessun sforzo enorme. Insomma, quando ordino le mie cose (sempre attraverso il World Wide Web) ormai ho tutto a portata di mano. Conosco il corriere, il luogo di partenza, l’ora in cui ha lasciato il magazzino, l’ora in cui l’ha preso in consegna il suo collega, il numero delle soste del mezzo di trasporto, e via discorrendo. Vivendo in provincia questa è ormai una prassi con cui ho sempre …