SCRIVERE CON IL RASOIO – INTERVISTA A FRANCESCO PERMUNIAN

Per alcuni scrittori è difficile trovare una definizione che li contenga, sono autori per pochi, apprezzati e conosciuti più dalla critica che dai lettori, nelle librerie uno scaffale per loro non è stato ancora allestito. È il caso di Francesco Permunian, scrittore italiano autore di romanzi e racconti il cui stile affascina per l’uso di una lingua “che è perfetta, spiccia e sprezzante, furente” (Giulio Mozzi), senza mai storture linguistiche o trame d’occasione così comuni a certa scrittura dei nostri tempi. Da lettrice sono rimasta affascinata dal mondo grottesco abilmente descritto da Permunian, un mondo allucinato e folle, dominato dalle disillusioni, pieno di fantasmi e ossessioni.
“Permunian ha una fantasia fiamminga. Gremisce le pagine dei suoi libri, stralunate operette morali più che romanzi; e le rende brulicanti: come le tavole nelle quali l’arte di Bosch ha rovesciato catastrofi ironiche di cercopitechi senza dentiere, bàtraci stravaganti, vesciche, figure lucertolesche o aracnee, […]” così descrive la sua scrittura Salvatore Silvano Nigro nella prefazione a COSTELLAZIONI DEL CREPUSCOLO edito dal Saggiatore.
Francesco Permunian non è un autore alla moda, non è il caso letterario dell’anno che fa agitare i social network e i tanti book blogger del Belpaese. Permunian è l’autore italiano che ha masticato e digerito la migliore letteratura. Il risultato? Qualcosa di sorprendente che scuote chi legge e gli rovista le budella.

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Immagini di allestire lo scaffale Permunian in una libreria potendo inserire tutto ciò che ha scritto. Quale romanzo consiglierebbe di leggere per primo e perché?

A proposito di un improbabile e inverosimile “scaffale Permunian”, il primo libro che io ci metterei dentro non sarebbe affatto un mio romanzo o racconto, bensì II principio della malinconia, quella plaquette di appunti e frammenti autobiografici che l’editore Quodlibet mi pubblicò nel 2005 con una nota del compianto Giorgio Cusatelli. Una sorta di poema in prosa che è, forse, l’unica chiave possibile per aprire la porta più segreta del mio mondo di scrittore.
Una porta costituita, com’è giusto che sia, da due battenti: uno di natura essenzialmente lirica, sul quale si addensano e raggrumano quelle svariate prove giovanili che precedono, di almeno vent’anni, il mio esordio nella narrativa che avviene nel 1999 con l’uscita di Cronaca di un servo felice (Meridiano Zero, prefazione di Luca Doninelli); l’altro battente è invece impastato e direi “sfigurato” in virtù di una violentissima carica realistica – un iperrealismo che, di conseguenza, sfocia nel tragico. O meglio, nel tragicomico, visto che la mia personale percezione della realtà (quella quotidiana e quella, ben più importante, del passato) vira in me costantemente verso il paradosso, tingendosi così di elementi e toni sia grotteschi che surreali.
Lirismo e tragicommedia, ecco, mi sembra siano queste le basi su cui poggia il mio instabile e mutevole universo poetico – dal quale, alla lunga, non poteva che germogliare quella pianta allucinata – e vagamente mostruosa – che risponde al nome di Ermete Carafa, l’ignobile servo protagonista della mia Cronaca.

I suoi personaggi sono spesso pieni di ossessioni e manie, i fantasmi di un remoto passato che prendono vita e divorano il presente, il delirio che ne viene fuori sfocia in pazzia. Nulla di buono, dunque, sembra poter nascere dal genere umano “sacchi ambulanti di carne in scatola”. Nei suoi romanzi non c’è assoluzione. Siamo tutti condannati? E la scrittura in che misura aiuta a tenere a bada i suoi fantasmi?

Comunque sia, la mia attività di scrittore inizia – ripeto – indossando indegnamente le vesti di autore di versi, con l’illusione cioè di diventare anch’io un poeta come lo erano a quel tempo Diego Valeri e Andrea Zanzotto, le due personalità poetiche di riferimento nel Veneto della seconda metà del Novecento. A tal proposito, mi ricordo ancora di un mio librino (oggi per fortuna introvabile) intitolato Traum. Vento di tardo autunno che uscì a Bologna nel 1983 per i tipi della Libreria Palmaverde grazie al generoso interessamento di Roberto Roversi e nel quale Pietro Gibellini già vi individuava, profeticamente, le tracce di una “rasentata follia” ….
Poi la vita, con tutti i suoi accidenti, si è incaricata di rendere ben più tragica e drammatica quella mia ingenua e romantica “follia” giovanile. Ed è stato a quel punto, dopo i trent’anni, che piano piano ho abbandonato la scrittura in versi e lentamente, e con fatica, ho preso a esprimermi in prosa. Ormai il mondo mi si era così “accartocciato” tra le mani – era cioè diventato un teatrino così grottesco e risibile – (*) che solamente la prosa (così pensai) era in grado di veicolare e di “significare” quell’enorme ammasso informe di facezie e tragedie umane: “Quel delirio divino che è la vita umana” – come sta scritto, infatti, in Cronaca di un servo felice.

(*) “Il romanzo è un’arte nata come eco della risata di Dio” – lo afferma Milan Kundera in L’arte del romanzo. Ed io, nella mia scrittura, ho sempre cercato di cogliere perlomeno un lembo, anche solo un minuscolo brandello, di quella terribile risata divina … Ragion per cui, nella mia scrittura, ho sempre mescolato il sacro e il profano, il celestiale e l’escrementizio (detto altrimenti: paradiso e inferno, tragico e comico, infamia e beltà; ad esempio: l’infanzia più dolce e innocente messa accanto e a confronto, in risibile contrasto, alla vecchiaia più estrema e oscena!).
Sacro e profano, insomma, per me sono sempre e comunque legati in una maniera tragica e indissolubile. Tanto per dire, nella mia camera da letto – appesa al muro accanto a un piccolo Crocifisso –  c’è stata per molto tempo una targhetta di cartone sulla quale avevo trascritto questo “ammonimento” di Giorgio Manganelli, il quale consigliava a chi si accinge a scrivere di “oscillare fino sull’orlo del tragico e distrarsene in tempo per conseguire il rapido lembo del ridicolo”.

“Una pagina di buona letteratura mi è bastata finora contro le turpitudini della vita”, così scrive in COSTELLAZIONI DEL CREPUSCOLO. Quali sono queste pagine e in che modo l’hanno salvata?

Una pagina di buona letteratura mi è bastata finora contro le turpitudini della vita”: è vero, le ho scritte io quelle parole, ma tanto tempo fa.
Oggi invece non la penso più così, purtroppo, e difatti in una delle pagini iniziali di Chi sta parlando nella mia testa? – in uscita da Theoria ai primi di novembre – si può leggere questo amaro controcanto: “Sarà anche per simili incontri, ma resta il fatto che a me l’arte, e tutte le discussioni sull’arte, non mi sono mai interessate un fico secco. L’espressione “La letteratura mi ha salvato la vita”, che ricorre così di frequente sulla bocca degli scrittori meno dotati, mi è sempre sembrata una boutade d’imperdonabile volgarità.

Sono in uscita due nuovi libri: AUTUNNO, una pubblicazione di pregio stampata da Lucio Passerini, e CHI STA PARLANDO NELLA MIA TESTA? per le Edizioni Theoria. Come sono nati questi due progetti?

Quanto ad “Autunno” – un frammento lirico rielaborato e magistralmente “interpretato” da Lucio Passerini con le sue arti tipografiche – esso ha visto la luce all’inizio di questa estate, dopo l’improvvisa scomparsa di mia madre, alla quale il testo è dedicato.
Al contrario, Chi sta parlando nella mia testa? è il frutto di una lunga e sofferta rielaborazione (e riscrittura) di un mio testo uscito anni fa e ormai da tempo introvabile: devo alle cure, e alla generosità, di Andrea Caterini se tale mia opera farà presto ritorno nelle mani dei lettori italiani.

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AUTUNNO
Il Buon Tempo, Milano, 2018
Il libro sarà presentato in anteprima nazionale alla Rassegna della Microeditoria di Chiari (BS) domenica 4 novembre nei saloni di Villa Mazzotti.

 

 

CHI STA PARLANDO NELLA MIA TESTA?
Edizioni Theoria, Rimini, 2018

 

 

 

 

Francesco Permunian, vive e lavora a Desenzano sul lago di Garda. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali ricordiamo Il principio della malinconia (2005), La casa del sollievo mentale (2011), Il gabinetto del dottor Kafka (2013), La polvere dell’infanzia (2015). Nel 2017 Il Saggiatore ha pubblicato in un unico volume i suoi primi due romanzi (Cronaca di un servo felice e Camminando nell’aria della sera) sotto il titolo Costellazioni del crepuscolo. Theoria, oltre a Chi sta parlando nella mia testa?, ristamperà anche Nel paese delle ceneri.

[la foto di Francesco Permunian è stata gentilmente concessa da PINO MONGIELLO Salò, e graficamente elaborata da Mimma Rapicano]

©MimmaRapicano_2018