Relazioni e automatismi: Alberto Moravia va in scena

Alberto Moravia, simbolo indiscusso della letteratura romana, figura di spicco che seppe coniugare il romanzo italiano, oltre all’opera di Italo Svevo, con i risvolti della psicoanalisi e le sue lunghe diatribe — interne ed esterne. Moravia, lo scrittore che a ventidue anni diede alle stampe il suo celebre Gli Indifferenti (1929), scuotendo i lettori per via della narrazione così complessa, tanto da far suscitare qualche dubbio sulla sua vera età. Moravia, lo scrittore che in un’intervista di qualche anno fa Dacia Maraini definì il vero padre dell’esistenzialismo, ideologia filosofica elaborata da Jean Paul Sartre nel corso dei suoi lavori e venuta fuori dal romanzo La Nausea (1938). Biografie e meriti si scontrano come meglio possono, secondo le loro tesi migliori, fino a fortificare le vite di autori là dove le loro opere sembrano non riuscire a intensificare ulteriormente le fondamenta sparse per i loro libri.

Quello che ho avuto modo di incrociare tra le pagine de L’Automa (Bompiani, 1962) è un Moravia che mette al centro della sua narrativa il terreno fragile su cui si erigono i rapporti di coppia. Fidanzati, giovani sposi e amanti annoiati si stendono lungo i quarantuno racconti contenuti nella raccolta scomparsa fisicamente da tutte le librerie — è reperibile solamente la versione in ebook, o se siete fortunati riuscirete a trovare qualche copia usata su Ebay oppure Amazon.

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Il titolo che da il nome all’impianto che sorregge l’opera racchiude in sé il vero ed unico protagonista che passeggia indisturbato per le spiagge di Ostia, per i campi agricoli della campagna romana e che fa su e giù per i salotti della buona borghesia. Storie che prendono l’essere umano e lo mettono in relazione con la macchina, automatismi che mettono in movimento i rapporti sociali e che gli includono in schemi che rendono gli eventi sempre meno sbilenchi, meno imprecisi.

Coppie sull’orlo di una crisi, amanti prepotenti e alto tenore di vita. Moravia mette in scena il crollo di una società che agli inizi degli anni sessanta, nel pieno del boom industriale, vede quelli che erano i propri valori messi definitivamente in discussione da un progresso che sembra ancora essere poco accettato. Raccontare storie attraverso la monotonia di un dialogo che volge finalmente la sua attenzione altrove, verso gli orizzonti dove l’imbarazzo non arriva a corrodere l’intera esistenza dei protagonisti. Un corpo lasciato dalle autorità sotto il sole rovente, una coppia di coniugi seduti poco distanti e un segreto che sceglie di svelarsi per bocca della donna solo nelle ultime pagine del racconto. In Appuntamento al mare gli amanti si dividono per sempre, la morte sopraggiunge durante l’attesa di un incontro, e con essa la verità. Attriti che si risolvono in un retroscena, in un afoso dietro-le-quinte che svela una relazione segreta tra la moglie e quello che ormai è un cadavere quasi dimenticato dai carabinieri. Ecco che, in un modo o nell’altro, Moravia ci restituisce quasi l’impossibilità del riscatto, in quella decisione assunta ma che non libera dalla nevrosi perché colui che era in grado di condurti altrove è ormai morto annegato.

L’amore si annulla. Quello che era l’uomo moderno indirizza il proprio sviluppo verso nuovi valori legati da un’introspezione psicologica che restituisce al lettore una piccola sensazione di vuoto — il 1962 è anche l’anno in cui lo scrittore romano si separa da Elsa Morante. Quello che vediamo realizzato sul palco dei rapporti di coppia è una grande disgregazione, la stessa che ha reso tutte le componenti che danno vita alle relazioni umane parti talmente minuscole da creare un disorientamento generale ad ogni intenzionale volontà di recupero. Emerge una certa meccanicità nelle storie, la stessa che contraddistingue i nuovi personaggi che entrano nel teatro fragile delle relazioni. Allora potremmo nominare Alberto Moravia maestro del vuoto, lanciando continui richiami all’intervista rilasciata da Dacia Maraini e alla proprietà intellettuale di un certo esistenzialismo — Camus non rimarrebbe di certo a guardare.

MORAVIA Alberto

Quelli de L’Automa sono racconti che prendono fattori come i sentimenti, le emozioni e i contrasti di una relazione e li trascinano in quello che da molti è visto come un buio disorientante piuttosto che rivelatore. Racconti che sono tenuti uniti da questo filo unico attraverso cui comunicano il disagio ben definito, eppure mai compreso in ogni sua singola sfumatura. Sono racconti persi nel tempo pur riuscendo a scandirlo, quasi anticipando le diatribe che avrebbero poi popolato la desolante sorte di un rapporto giunto al suo limite. Avvicinarsi per poi allontanarsi, storie di relazioni pesanti che non sempre trovano la soluzione all’attrito. Qualcuno passa oltre abbattendolo, qualcun altro sceglie di sottostare alla forza di quell’attrito senza nemmeno preoccuparsi, in un modo o nell’altro, di opporre rimedio al fiato corto della costrizione, di un legame che alimenta il malessere psichico. Nevrosi, nevrosi e ancora nevrosi. Solo nevrosi, per sempre nevrosi. Nuovi spazi per gli alienati.

Il punto che Moravia affronta in questi quarantuno racconti rimane l’imperscrutabile deriva di un qualsiasi rapporto. Scendere a patti, perdere la propria integrità e la voglia di correre a piè pari quando di norma si dovrebbe procedere adagio. Queste storie sono in continuo fermento. Non sono semplicemente rilegate in una prima edizione dalla copertina rigida azzurra, ma riflettono ancora un clima attuale. Questa capacità di rimanere sul pezzo, questi racconti l’hanno ottenuta con il trascorre del tempo, una potenza che ha fatto sì che questa materia alimentasse una narrazione provvista di anticorpi e conservanti naturali. Queste de L’Automa sono storie di protagonisti che hanno innestato un lungo processo di osservazione che si spinge oltre quel comune denominatore della narrazione prevedibile, della narrazione scontata. In fin dei conti, Moravia è semplicemente riuscito nell’impresa di rimanere tra coloro che annoveriamo come classici imprescindibili, e questo glielo dobbiamo riconoscere.

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