All posts filed under: Racconti di Ringhiera

Miss Italia

di Francesco Tacconi – Siamo qui con Elena Rampi, la nuova miss Italia. Elena ci vuoi dire qualcosa di te? – Vuoi qualcosa di particolare vero? – Sì certo. Qualcosa che ritieni interessante e che possibilmente non sia già comparsa sui giornali. – Ho avuto una adolescenza piuttosto turbolenta. Sono stata tossica dai tredici ai diciannove anni. A tredici anni ero bellissima. – Tossica? Fantastico! Ma pure adesso sei molto bella, hai vinto il titolo superando tutte le altre partecipanti – Lo so, ma è diverso. Ora io mi sento bella. Indipendentemente da quello che pensano gli altri. Allora invece ero oggettivamente bella. Era una cosa innegabile e niente affatto una questione di gusti. – Tossica per tutta l’adolescenza. Hai avuto una infanzia particolare? – Normale direi. Da piccola sognavo di fare il veterinario ed ero una grandissima bugiarda. Per un intero anno scolastico ho fatto credere a un mio compagno che avevo sessanta cani e che vivevano con noi, dentro casa. – Ma il rapporto con i tuoi genitori com’era? – Madre bigotta, fredda, …

Domenica mattina

di Francesco Tacconi … no è che c’è ‘sto fatto che ormai lavoro pure al sabato perché me lo hanno chiesto un sacco di volte di andarci e all’inizio dicevo di no ma poi con il fuoribusta che mi hanno offerto ho finito con l’accettare e così l’unico giorno libero che mi rimane veramente è la domenica e allora ho pensato che qualcosa dovevo fare pure io per distrarmi e per staccare e così ho cominciato a fare ‘sta cosa che mi piace un casino perché di fatto all’inizio avevo pensato di fare qualche sport come fanno tutti tipo corsa o piscina ma a correre mi pare di essere scemo perché in realtà non c’è un posto dove arrivare e in piscina mi annoio a morte a fare avanti e indietro con tutti i fanatici che ti vengono addosso o quelli lenti che non ti fanno passare mai che ci sono pure certe vecchie che te le raccomando e così ho pensato che dovevo trovare qualcosa di alternativo che di leggere ad esempio non ci …

Costruiremo mondi sul niente, e poi li abiteremo.

di William Dollace «Un jour, on construira des villes pour dériver.» Guy Debord — Théorie de la dérive — 1956 La sconfitta. La deriva. La sconfitta è il portiere di una palestra che non esiste, da tempo scandito e candito dalle sue abitudini, il guardiano del niente, la luce verde dell’abitudine, alieno di sostanza. La deriva sono i totem di gasolio, disserviti dal loro servizio, impossibilitati a guardarsi fra loro ma a guardare nella stessa direzione, per sempre, monumenti, sculture di metallo semivuote. La sconfitta è una televisione che parla a sé stessa, megafono semantico in una stanza che potrebbe essere un’astronave nello spazio servita da televendite per alieni, costumi e culture lanciate come da un megafono per posteri che han deciso di abbandonare la loro poltrona. Julien Lombardi costruisce set che potrebbero stare ovunque, poltrone indirizzate a nessuno, lirici tentativi di darci in pasto alla deriva. Alla sconfitta. Questo lavoro di cesellamento della solitudine non mostra paura, rimorso, rimpianto, tale è, episodi solitari incendiari che viaggiano, fino al termine della notte. Piattaforme, in cui il suicidio del movimento ha lasciato …

Senza tempo

Sono quasi le sette del mattino e la serranda del caffè viene tirata su lentamente. Nino non ha mai avuto fretta, né in mattinata, né durante tutta la sua vita. Saluta qualche conoscente che si dirige al lavoro, fa il solito cenno con la testa che gli dà un’aria spensierata ed entra nel suo bar ancora vuoto, col pavimento un po’ da spazzare e pieno di ricordi, che presto si riempirà. Non è un posto bellissimo, ma chi lo frequenta sa che è speciale, sia quelli che ci passano tutti i giorni, sia coloro che ci finiscono assetati per sbaglio in un mercoledì qualunque. Nino ha la straordinaria capacità di godersi la vita. Di conseguenza, chi gli sta attorno comincia a pensare irrimediabilmente a quanto la propria esistenza necessiti di un cambiamento. Ma questo Nino non lo sa. Nelle pause gli piace stare sull’uscio del locale e guardare con le braccia conserte: assapora la gente perché ama i particolari e i dettagli che passano indifferenti. Si crea bellissimi quadri nella mente e li appende un …

Stava tornando

di Nellie Airoldi Gate numero 25. Stava tornando. Nel terminal le voci si coprivano l’una con l’altra. Entusiasmo e noia e rabbia si alternavano davanti al gate numero 25 ma nelle sue orecchie il tutto era solo un ronzio lontano, un sibilo insistente ma secondario che non riusciva a distrarla dai suoi pensieri tutti presi dal fatto che sì, effettivamente, stava tornando. Il fatto è che non l’aveva realmente deciso: è stata una semplice reazione, forse l’istinto o soltanto la sopravvivenza. È successo che quel giorno si era svegliata e aveva capito che doveva tornare, non poteva più restare là a sperare che le cose si sarebbero sistemate da sole. Il problema però, mentre stava al gate numero 25, è che quasi certamente le cose non si sarebbero mai sistemate davvero, ripresentarsi da dove era partita forse non era la soluzione migliore ma dopotutto lei che altro avrebbe potuto fare? Non riusciva ad immaginare altre soluzioni ed era proprio per questo che stava tornando. È la stessa sensazione che si prova quando tutte le persone che …

Le tette e la Grande Guerra

di William Dollace Questa domenica sul Monte Stino che capitombola sul Lago di Idro sono stato a visitare le gallerie e gli appostamenti dei cannoni e delle sentinelle dei nostri soldati nella Grande Guerra. Che dire. Le bandiere, le scritte, il silenzio, la maestosità e l’altitudine del luogo hanno sempre un effetto rimembrante su di me, quasi come rebloggare in modo distantaneo su Tumblr. Lo so, che vi sembrerà osceno, questo accostamento fra il digitale alieno e il concreto storico intriso di analogica memoria, ma tant’è, è così. E allora il verde portentoso raccoglie e scopre margherite improvvise, alberi informicati, panchine, e un rifugio imbottito di una Radler magnifica della Dreher. In cima ho fumato un Partagas. Ok, non facciamo pubblicità qui, ma quel che è giusto è giusto. In realtà questo scritto voleva essere serio, un memoriale, un reportage storico di trincea, e si è trasformato in un salto di tappo fra erba e bandiere e cenere sparata al vento. Ho fatto un video e tante foto. Ho raccolto silenzi. Ho disattivato notifiche e intrusioni. …

Frammenti di felicità

Al numero 7 di una via in centro a Torino c’è un grande portone di legno massiccio, un po’ scardinato e che cigola ogni volta che viene aperto. Appena si entra nell’androne, non fai in tempo a sollevare gli occhi che la porta si chiude sbattendo sonoramente alle spalle diffondendo una strana quiete, e tutti i pensieri che prima ti accompagnavano ora si ammutoliscono. Ogni volta mi sembra di essere accolta da un luogo sacro, fresco e silenzioso. La volta di stucco decorata è un po’ scrostata, ma non importa, perché c’è un nido di rondini che attira l’attenzione e mi ricorda quando da bambina al mare andavo a guardare i piccoli appena nati che si rifugiavano sotto una tettoia. Cammino per pochi metri facendo attenzione alle gocce d’acqua che dai balconi cadono, probabilmente da qualche vaso di fiori grondante, e mi dirigo verso le scale con un certo sconforto, l’idea di fare cinque piani senza ascensore è un po’ come iniziare un percorso in montagna e sapere che il programma è di camminare cinque …

Troppo piccolo per correre, di Merritt Tierce

Troppo piccolo per correre è un racconto di Merritt Tierce, scrittrice uscita da poco in Italia con il romanzo Carne viva per Edizioni Surtradotto da Martina Testa. Il racconto è apparso sul magazine PANKnel dicembre del 2010. Di seguito trovate una traduzione di Mariateresa Pazienza. K sta per Kavanagh e Kay, che sono rispettivamente il nome e il cognome del mio ultimo amico offline. Anche mia nonna, che ebbe due figli prima dell’invenzione del transistor, ha un account AOL¹. Mia zia deve controllare le e-mail della nonna perché ha 85 anni e, nonostante cammini col bastone e si muova ancora con la sua Buick LeSabre per andare in chiesa, non riceve tutto lo spam che invece ci ritroviamo noi che siamo sempre connessi, che sappiamo di non dover rispondere. Kay paga le sue bollette con un francobollo e fa dei viaggi in macchina con un atlante di Rand McNally del ’92 comprato per un quarto di dollaro a una vendita di oggetti usati nel ’99. A volte non so dove sia, altre volte è con me. Ecco perché gli voglio bene. Io …

L’avanzata del racconto

In Italia il racconto, inteso come genere letterario, ha qualche difficoltà a venir fuori dalle zone di penombra in cui risiede. Su di esso si sprecano sempre le solite parole: “non attira”, “è il risultato di uno sforzo minore dell’autore”, “è troppo sintetico”, “non mi piace la forma breve, la detesto”. Queste sono solo alcune delle frasi che si sentono dire — che compaiono sulle bacheche dei vari social network — in merito alla forma espressiva attraverso cui, ad esempio, Raymond Carver ha costruito la sua immensa opera — evitando di dimenticare l’altro suo mezzo, la poesia. Oltre i confini del nostro mercato editoriale, il racconto trova sempre la strada spianata. Gli esempi statunitensi avvalorano questo dato che si cerca insistentemente di eguagliare — senza contare che è la lettura, intesa come intrattenimento, a navigare in cattive acque. Le raccolte invadono gli scaffali delle librerie per poi sistemarsi comodamente nelle case dei lettori. Se il periodo che stiamo attraversando è abitato da mutazioni di ogni genere, la cosa giusta da fare è non lasciarsi prendere dalla delusione e continuare a credere in quello …

Sicurezza — di Mary Miller

Il romanzo d’esordio di Mary Miller si intitola Last days of California, tradotto da Sara Reggiani e pubblicato da Edizioni Clichy nella nuova collana Black Coffee. Sicurezza è un racconto apparso nel 2012 su Tin House. L’ha tradotto per noi Mariateresa Pazienza. Lui prepara la cena mentre io sto seduta al tavolino e lo guardo. Vive in un appartamento con altre tre persone, un cane, un ammasso di concime e diversi bidoni per la raccolta differenziata. Appendono i loro vestiti a una corda per asciugarli e mangiano un sacco di quinoa. E’ il genere di posto in cui mi piace stare. Ci sono un sacco di luci accese, mobili vecchi e un cane in comune. Lui mette le tortillas sul fornello. “Due?”, chiede lui. “Una”, gli dico. “Ho pranzato tardi.” “Non mi permetti mai di nutrirti”, mi dice. Indossa vestiti attillati che lo fanno sembrare un ragazzino. O forse è il suo taglio di capelli. Le sue lunghe ciocche sono in una busta nella sua camera. Continua a chiedermi di andarci, di toccarle, di sentire quanto siano disgustosi i capelli quando non sono …