All posts filed under: Fotografia

Luoghi in bianco e nero, di Luca Scarpa (EDITORIAL)

Luca Scarpa è uno dei fotografi che più stimiamo (la lista è abbastanza lunga). Abbiamo conosciuto lui e i suoi lavori attraverso Instagram, social network non solo popolato da primi piatti e gambe in riva al mare. I suoi scatti ripropongono la splendida aura di un’architettura ricca di sfumature sottili difficili da cogliere a prima vista. Gli edifici che si innalzano lungo le vie delle città europee consentono all’osservatore di rinascere nuovamente, questa volta con un sguardo critico rafforzato dalle emozioni che l’opera stessa trasmette. All’architettura, Luca affianca la fotografia ritrattistica, fonte continua di inestimabile bellezza. Con grande piacere abbiamo scelto di pubblicare questo suo editoriale curato esclusivamente per noi di Casa di Ringhiera. Luca Scarpa nasce a Milano, città dove vive e abita, si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano. Il suo lavoro di ricerca fotografica è incentrato sui luoghi, sul paesaggio urbano e sui dettagli che cerca nella vita di tutti i giorni. Scatta principalmente in analogico, alternando il medio formato al classico 35mm. L’architettura è solo un punto di partenza, il …

Le centrali elettriche di Mitch Epstein

Quando di un posto non puoi farne a meno, e sei costretto ad essere a diecimila chilometri di distanza, scegli tutti i mezzi possibili per adorarlo, per celebrarlo e appropriarti di quel poco che basta a farti sentire poco più vicino del solito. Negli USA non ci ho mai messo piede, e credo che non ce lo metterò nemmeno in un futuro prossimo — a meno che non trovi per strada una valigia che stracolma di soldi. Questa mia fissa, o necessità di sentirmi partecipe di una cultura che non smette di influenzare le menti in lungo e in largo, è scaturita da anni di letture, di film visti in una cantina adibita a ritrovo per ogni tipo di persona passasse dalle quelle parti, nonché rifugio per sere gelate e pomeriggi assolati che si scagliano contro una saracinesca di metallo, rendendola rovente quasi quanto l’acciaio dell’Ilva di Taranto. A questi fattori si aggiunge la musica dei bassifondi newyorkesi, delle spiagge californiane e dei boschi degli stati del nord. Infine, in questi viaggi da fermo che conduco ogni …

Forme di amnesia

Disintegrata la Jugoslavia di Josip Tito, restano sull’erba, sparpagliati tra Serbia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Macedonia, i rottami di una plumbea architettura celebrativa. Privi di energia e vuoti di significato, questi totem brutalisti si rivestono, attualmente, di un senso post-datato. Gli Spomenik, concepiti in un contesto di unità nazionale fittizia ed eretti dalla forza persuasiva di un regime dittatoriale, oggi ci appaiono monumenti commemorativi di un’amnesia necessaria a dimenticare il trauma post-ideologico. Metafore di concetti dismessi ed aiutate dalla furia degli elementi, queste ferite cementizie attendono di rimarginarsi nella profondità di un limbo della memoria, morsicate mortalmente da una natura vorace e per niente recalcitrante alla densità del granito. Potere ed architettura si sono fusi in questi gusci. La loro forma e la loro sostanza sono in continuo mutamento, come due liquidi impossibilitati a mescolarsi. Un tempo concepiti per contenerne l’aura patriottica necessaria ad illudere etnie diverse circa una possibile convivenza imposta, oggi ci appaiono come la mappa di un’installazione aliena, fruibile attraverso una campagna rigogliosa, ma irrigata dal sangue di migliaia …

La montagna ti ha scoperto.

di William Dollace Hai scoperto la montagna. Scoperchiato metri di altitudine, vigilato sulle rocce, oltrepassato le ringhiere di legno. Le mucche, le capre, ti guardano con beata indifferenza. Sei un passante, non un colpo vincente, per loro. Hai scoperto la montagna e la montagna ha scoperchiato te. Lassù dubbi, paure, preoccupazioni, intrusioni, scompaiono a vista d’occhio, insegnandoti l’umiltà, il capo chino e poi aperto a un cielo a cielo aperto, insegnandoti a seguire il sentiero, a salutare chi incroci, un codice di educazione che trovi ormai soltanto lì, fra le rocce, sulla polvere e fra i rododendri. Hai fissato il mare, ma una volta entrato in acqua, ti sei bagnato di pensieri, ti sei asciugato al sole, sporcato di sabbia e crema, il mare è rimasto, l’abbronzatura se n’è andata. Invece in montagna, hai fissato i sassi da tremila metri, le croci in cima a sancire non solo la cima, ma l’inizio della via del ritorno, annusato il legno invecchiato dei tavoli all’aperto, rimodellato zone di silenzio e di caccia ai simboli, ti sei informato sulle …

La speranza di chi sogna addosso, di Dea Urovi (EDITORIAL)

26Bio: Mi chiamo Dea Urovi, ho 16 anni e sono un’artista. Vivo a Londra ma sono nata in Italia in un piccolo paesino nelle pianure della Romagna. Vivendo a Londra ho capito che l’arte della fotografia e l’aiutare le persone sarebbero stati i due motivi per cui mi sarei svegliata la mattina con la speranza di chi sogna addosso. Uso la fotografia come modo per raccontare le mie giornate e ciò che voglio ricordare di più di questi anni; i momenti belli ma anche quelli brutti che mi hanno aiutato a crescere e diventare la persona che sono ora. I momenti che tengo più stretta a me li vedete in queste foto. Osservate con il cuore, non gli occhi. Breath life Peter Pan Constellations Fleecy dreams Mellow Run towards the sun Never-ending Baby Blues Night tales Your hands in mine Dea Urovi: Instagram Tagged in Adolescenza, Dea Urovi, Editoriale Fotografico, Fotografia

Le coppie che aspettano

Jana Romanova è una fotografa russa nata nel 1984 e laureata in giornalismo. I suoi progetti fotografici sono incentrati sul senso di comunità e di identità collettiva che emergono dai territori dei Paesi post-sovietici e dai volti pieni di storie che lei immortala. Una ventata di freschezza e morbidezza è data da un lavoro che mi ha colpito in particolare, chiamato waiting: come dormono le coppie quando aspettano un figlio? Ebbene, è un tema originale perché mostra in modo speciale quei futuri genitori nei loro letti, tra la spontaneità e la naturalezza delle prime luci del mattino. L’artista era ovviamente presente nelle loro stanze, accolta nel calore delle loro case anche se estranea, come lei stessa spiega, da una grande fiducia. Non penso che siano stati scatti impostati, anzi immagino Jana che verso le ore 6 si alza dal divano del salotto su cui dormiva, senza far rumore entra nelle loro stanze e sale su una scala, per cogliere quei momenti così tanto traboccanti di intimità. I corpi, probabilmente esausti, riposano ancora, alcuni sono abbracciati, …

Sophie Day e Fuckboy

Il ritratto è un genere fotografico che solitamente riconduciamo al volto e al corpo. Quello che vediamo è il risultato finale dell’interazione tra fotografo e soggetto. Spesso però appare come un insieme di fattori attraverso cui i due elementi attivi della fotografia dialogano tra loro, talvolta anche in modo implicito. Il lavoro della giovane fotografa newyorkese Sophie Day non è il ritratto in senso prettamente fotografico. Il suo progetto Fuckboy è un documentario sugli skateboarders della Grande Mela. Dalle clip che possiamo trovare sul suo profilo Vimeo ci rendiamo conto di quanto a volte la semplicità possa essere d’aiuto alle arti visive. Sophie riprende la realtà che sente vicina a sé, quella composta da adolescenti che cercano in ogni modo di stare a galla, quella dei maschi che danno il nome al suo documentario, i Fuckboys. La scelta del titolo è dovuta a uno stato di Facebook in cui la stessa Day chiede quale sia l’offesa più grande da fare a un ragazzo. Tra i vari little dick, asshole and stuff like that, c’era anche …

I luoghi inesplorati di Riccardo Mion

Natura e selvaggio sono concetti che vanno sempre di pari passo verso la propria affermazione. Parole che sono state accostate da tempi immemori, principi inviolabili ma continuamente messi alla prova, scaturiti da profonde riflessioni che hanno contribuito alla nascita di un immaginario abusato nell’utilizzo improprio del termine. La natura è il selvaggio per eccellenza, popolato da esseri accomunati da un’esistenza in continua lotta per l’adattamento, la sopravvivenza e la riproduzione della specie. I ritmi scanditi hanno caratterizzato ciò che l’uomo cerca di tenere sotto controllo con la sua opera invettiva. Spesso si fa risalire questo aspetto alla nascita della scienza e della tecnica, due branche della storia umana molto simili fra loro ma non per questo sussidiarie. Conoscere la natura, i suoi meandri, la sua indole selvaggia, appartiene a ciò che alimenta la nostra curiosità, soprattutto se decidiamo di osservare il rapporto che noi uomini intratteniamo con le sue sfumature. Ad alimentare questo scenario ci ha pensato la letteratura. La gran parte dell’opera di Jack London, ad esempio, è basata proprio sul rapporto che intercorre …

Pareti fredde e lenzuola bianche

Scegliere di fotografare tutto ciò che rientra nella comune definizione di intimo non è affatto semplice. È un percorso dove si può perdere subito il controllo, e ritrovarsi a fare i conti con una serie di risultati a noi estranei è molto facile. A questo punto sorge spontaneo oltrepassare i confini della fotografia e esportare questa riflessione ad un livello che colpisca l’arte in tutte le sue declinazioni, ma non è questo il momento per affrontare un tema così spinoso. L’intimo è una dimensione che, nella maggior parte dei casi, è ancora poco compresa, e quando un aspetto delle nostre esistenze non trova il giusto spazio attraverso cui esprimersi, ci ritroviamo a dover accettare errori e occasioni perdute che ricorderemo per sempre. Celebrare l’intimità, renderla protagonista di un ciclo tanto vasto quanto lo è quello della rappresentazione figurativa, è una sfida ardua da affrontare, e il nobile intento di immortalarla nella sua più umile espressione non riesce a tutti. Sara Lorusso è una fotografa italiana che vive a Bologna. I suoi lavori riescono a trasmettere …

Acidi e pixel: la fotografia di Paola Malloppo

Nella fotografia si intrecciano numerose vie. Si crea un miscuglio di contaminazioni che si ripercuote lungo pixel e pellicola. Questi ultimi due sono già fattori che si incontrano e che danno vita alla materia che verrà poi impressa su carta — o ancora nei pixel di uno schermo qualsiasi. Le visioni multiple che si presentano una volta immerso l’occhio dentro il mirino spingono i diversi generi oltre il limite, sino alla distorsione che se ne può fare dell’arte stessa. Verrebbe da dire che oltre la diatriba tra analogico e digitale esiste altro. Soffermarsi su un lecito dibattito potrebbe creare una sorta di freno, un ostacolo alla stessa fotografia che invade le nostre vite fino a condizionare in un certo l’immaginario. Paola Malloppo è una di quelle fotografe che riesce benissimo a far dialogare due realtà — l’analogico e il digitale — che non cessano di contaminarsi a vicenda. Far convivere due tecniche è una prassi molto delicata, e il pericolo di incorrere nello sfacelo più totale è dietro l’angolo. La pellicola e i pixel respirano quasi la stessa aria, gli stessi …