Author: Iole Cianciosi

Can you see in the dark? In memoria di quelli che restano e di chi non c’è più. In ricordo di Scott Hutchison

«Can you see in the dark? Can you see the look on your face? The flashing white light’s been turned off You don’t know who’s in your bed»   Riesci a vedere nelle tenebre, mi chiedo, adesso che nelle tenebre hai ficcato la testa, le mani, le braccia, il tuo corpo robusto, la barba folta, i pensieri, la voce, i sogni, i silenzi. Ora che le parole sono scomparse dalla tua mente, che sei da qualche parte lontana, io sento ancora il tuo cantare dentro a un disco registrato che si ripete nella mia testa. Nel postscriptum di Norvegian Wood – Tokyo Blues di Murakami, si legge “questo libro è dedicato a tutti i miei amici che sono morti e a quelli che restano”. Le pagine del romanzo dello scrittore giapponese sono impregnate di un senso di disagio, insoddisfazione, un’inquietudine che tinge tutta l’atmosfera di tonalità grigie. Tuttavia, dentro l’opera, possiamo cogliere anche una flebile luce: è quella emanata dalle vite di chi resta, di quelli che non si arrendono, ma è la luce anche …

«I dormienti dormivano» L’ironia malinconica della landa americana: Cormac McCarthy, Suttree

«I dormienti dormivano. La periferia triste e mal illuminata di una città sfilò davanti ai vetri. Steccati, appezzamenti coperti di erbacce, sterili campi autunnali scorrevano spenti sotto le stelle» McCarthy è uno scrittore solitario, scarse apparizioni in pubblico, rarissime interviste. Chissà che effetto fa starsene da qualche parte senza curarsi di quello che dicono di te degli anonimi che da lontano ti “venerano”. Qualcuno ha detto che è uno scrittore per uomini perché nei suoi romanzi mancano i protagonisti femminili o se ci sono rivestono un ruolo secondario, marginale, di sfondo. Non la reputo una verità assoluta, questa. Se è vero che in molti dei suoi romanzi – come La Strada, Non è un paese per vecchi e Suttree, per citarne solo alcuni – i protagonisti appartengono alla categoria maschile, è anche vero che il gentil sesso non è assente in toto. I suoi personaggi sono “uomini”, ma non in quanto semplicisticamente soggetti maschili. La sua non è affatto misoginia, ma la risultante di un progetto definito che si propone di raccontare storie universali, narrare …

John Cheever e i terribili miracoli della scrittura

  «A volte periodi tristi, a volte allegri. Temporali. Natale.» Vi consiglio di non leggere Cronache della famiglia Wapshot (che si pronuncia «Uapsciat, con un suono catarroso», lo dice lui, non io) in treno. Potreste iniziare a ridere e non smetterla più, piangere come bambini oppure restare imbambolati a fissare il vuoto per un po’. Questo è l’effetto provocato da Cheever, il grande pregio della sua scrittura, un po’ di sana umanità. Umanità nel senso di qualcosa che ha come caratteri tipici la fragilità, la precarietà, la franchezza, l’allegria, la disperazione, l’imperfezione. Umanità per indicare un soggetto che vive e un giorno muore, umanità in senso biologico, ontologico, esistenziale. La compostezza smodata della scrittura di Cheever è anche il suo mana, il mezzo di connessione tra il mondo dei vivi e quello dei morti o degli immortali, l’afflato magico che lo conduce agli dei e lo salva da se stesso. – «Rosalie Young, sconosciuta agli Wapshot quanto voi lo siete a me» – «Non è certo colpa mia se il New England è zeppo di …

Anime galleggianti, ovvero: un viaggio simbolico, due musicisti e una chiacchierata col fotografo che li ha accompagnati

Zamboni e Brondi raccontano quell’avventura a parole, tu tramite delle immagini bellissime. Avresti voluto aggiungere altro al racconto, oppure ti senti di aver detto tutto tramite quegli scatti? «Credo di aver “detto” tutto quello che ho provato in quei quattro giorni» Piergiorgio Casotti © Piergiorgio Casotti C’è una salina che sembra un iceberg, dei cartelli stradali che sbucano dalle erbacce ai margini della palude e indicano Rovigo, Mantova, Venezia, il Po. Le indicazioni spingono l’osservatore disperso a ricollocarsi in un contesto spaziale definito: siamo in Italia anche se pare di essere altrove. Altrove per indicare un quadro indistinto, di coordinate vaghe e imprecisate. Dispersi, alla deriva, guardando immagini di non luoghi, potenti, bellissime, sospese in un nulla indolente, accomodante, terra di presenze leggere, fuochi fatui, anime dei morti. Ma i cartelli parlano chiaro e le voci narranti ci riportano con forza alla realtà. Di nuovo catapultati nell’orizzonte dell’essere. Che peccato. Era un posto così bello, quello, per viverci e morirci. Ma «adesso siamo qui, passati dall’essere assaliti da troppe cose contemporaneamente al non essere assaliti …

Here’s the story of the Hurricane – Bob Dylan & His Band

    Ho ancora appiccicato addosso il sound vibrante di Desire. Dentro le orecchie il suo accento americano, le note di un violino, di una chitarra antica, la malinconia di un’armonica. Difficile mettere su carta una carriera lunga e intensa come quella di Bob Dylan. Complicato come riportare su un foglio bidimensionale il vento, la luce, le onde del mare. È una proiezione impossibile. Chi è Bob Dylan, mi chiedo? Un settantenne che ha fatto la storia della musica? Un profeta? Un dio? Il menestrello del Rock? Il premio Nobel per la letteratura che si è fatto beffa dell’Accademia Svedese? Convengo che è tutto quello che c’è stato nel Nuovo Mondo più o meno dalla corsa all’oro alla contemporaneità, passando per Woodstock, l’epopea Beat, Martin Luther King e la postmodernità. È un po’ come Underworld di DeLillo o come l’Ulysses di Joyce.     Complesso, vasto, impegnativo, contraddittorio. È inclassificabile, è tutte le cose belle che a scuola ci insegnano come astratte. È libertà prima di tutto, la libertà intesa come l’intendeva Isaiah Berlin: «resistere, …

Michele Palazzo: da dove comincia il mondo – storie e strade newyorkesi

      Originario ravennate, classe 1968, laureato in architettura, residente a New York City dal 2010. Le fotografie di Michele Palazzo sono bellissime, potenti, cariche di una compostezza bilanciata dal dinamismo che ruota attorno alla street photography; corpose di un colore vivido in equilibrio con la luminosità che le avvolge e in netto contrasto con la vita che le abita: un ammasso in subbuglio, in moto perpetuo. Raccontano un presente che “sai” che è in qualche modo ancora in corso, da qualche parte, lontano, oltreoceano. Sono contemporanee al massimo grado, anzi post-contemporanee. Raccontano di un’America a cavallo tra quella fuori dal tempo della poetica Beat alla Kerouac a quella che traspira dalla grande letteratura di DeLillo, senza tralasciare i caratteri del “romanzo verità” delineati dal maestro Capote: non a caso il titolo della mostra è omaggio evidente all’omonimo libro dello scrittore di New Orleans. Si è chiusa da non molto la prima personale di Michele Palazzo, ospitata dal 29 novembre 2017 al 12 gennaio 2018 presso gli spazi espositivi della Still Gallery di Milano, a cura di Denis Curti e Maria Vittoria Baravelli. Abbiamo posto qualche domanda al …