L’apocalisse zombie

apocalisse zombie

Ieri ho sbroccato, proprio io che avevo detto a tutti che senza impegni e senza scarpe stavo da dio.

Il fatto è che sono uscita, sono andata al supermercato a fare la spesa. Se mi capita di stare un po’ fuori dal mondo fatico sempre molto a riadattarmi, mi capitava anche quando facevo le ferie a casa a BucoDelCulo.

A sto giro però è peggio, perché fuori c’è l’apocalisse zombie.

Cioè, era da un po’ che non uscivo, non sapevo che avevano tutti la mascherina, ero rimasta al terzultimo decreto dell’altro ieri, quello che diceva di non mettere assolutamente la mascherina.

Una cosa che mi manda fuori di testa è essere irregimentata, ho provato a lavorarci ma senza successo; il fatto che molti ci riescano mi fa sentire inadatta e arrabbiata.

Ho sempre pensato che fosse per via del fatto che sin da bambina mi sono sempre badata da sola, nessuno mi ha mai detto fai questo o fai quello.

Se poi l’obbligo è un dress code o un accessorio, io impazzisco, anche se è carnevale. Non vi dico le scenate quando mia madre mi doveva comprare il grembiule di scuola.

Ci ho provato con buona volontà, mi sono messa in fila, ho messo le cuffiette e mi sono concentrata su un podcast dei Minimalists che spiegava che la felicità è un ben triste obiettivo quando puoi aspirare all’integrità, alla cooperazione.

A un certo punto mi sono imbambolata per qualche secondo e dieci metri indietro una tipa ha cominciato a sbraitare

“Ehi, ti muovi, eh eh eh?”, e lì non ce l’ho fatta e ho sbottato: “è già tutto abbastanza difficile senza che ti ci metti anche tu a rompermi il cazzo”.

Ero nel panico, mi sembrava di essere in un film storico ambientato in sud America ai tempi di un regime militare – so che il paragone è forzato, ma che vi devo dire, mi fanno paura le persone così bardate.

Cinque minuti dopo sarei entrata al super e una commessa piantonata all’ingresso con piglio militaresco mi avrebbe invitato a tirarmi su il cappuccio del giubbotto (?), a indossare i guanti dell’ortofrutta, e avrebbe urlato come un’ossessa “non assembratevi”.

Per dire.

Il punto è che la tipa era tipo a venti metri da me così ho dovuto urlare: “Non rompermi il cazzo”.

È successa una cosa strana. Credevo che mi avrebbe risposto urlando. Che qualcuno avrebbe detto qualcosa, magari di calmarmi.

E invece sono rimasti tutti muti sotto alle loro mascherine.

Credo che abbiano capito come mi sentivo.

Credo che sotto a quelle mascherine ci fossero degli esseri umani tristi, confusi e impauriti come me.

A sto giro però è peggio, perché fuori c’è l’apocalisse zombie.

Valentina Santandrea