Tutto un fatto di respiro

una dis-guida non convenzionale su “La forma dell’acqua”
[di Disguido Luciani]

 

Love, love is a verb
Love is a doing word
Fearless on my breath
Gentle impulsion
Shakes me
Makes me lighter

Teardrop, Massive Attack, 1998

 

‘Ma che c’ha poi di così speciale sto La forma dell’acqua?’ Chissà se ve lo siete chiesto anche voi uscendo dalla sala. Chissà se pure voi vi siete detti: ‘Bello oh, fatto bene, suggestivo, bella fotografia/bella colonna sonora (che tanto si dice sempre, lo dicono tutti, che in fondo non sbagli mai se lo dici). Emozionante oh. Fa pure un po’ piangere’. Eppure, forse c’è qualcosa di più.

La storia è un classicone. C’è sta tipetta, non molto avvenente oh, ma c’ha la faccia simpatica. Non parla, è muta. È sempre di buon umore, un po’ sulle nuvole (forse per questo è sempre felice). Ha un lavoro un po’ alienante, ma non le pesa, forse perché sta in un posto figo, un posto di quelli dove succedono Cose. Cose di Stato, Cose militari, tipo sicurezza nazionale, tipo sperimentazioni, sì, tipo Cose che piacciono agli americani.

La Forma dell'Acqua - Tutto un fatto di respiro

La Forma dell’Acqua – Guillermo Del Toro

Proprio sul lavoro conosce sto tipetto che proprio ‘tipetto’ non è, un mostro che proprio ‘mostro’ non è. Una creatura marina, sì, proprio una creatura marina. Non parla manco lui. O almeno noi non lo capiamo. Ma lei sì, lei lo capisce bene. Pure senza parlare.

E poi, via d’intreccio, quello tipico, che tanto piace un po’ a tutti: amore difficile, quasi impossibile, tra tipetta e tipetto/ostacoli insormontabili/cattivo che più cattivo non si può/lieto (?) fine. Sì, un classicone. O meglio “una parabola cinematografica sull’amore”, che tanto già lo avete letto in tutte le recensioni. Però, oh, è vero. Eppure, sicuro c’è qualcosa di più.

Non è d’amore in senso strettamente di coppia che si parla. O perlomeno non solo. Né di sentimento che lega due soggetti considerati “diversi” dalla società. O per lo meno non solo. Il discorso, qui, è decisamente meno ambizioso. Ma ben più universale: tipetta/tipetto, tipetto/tipetto, tipetta/tipetta. E pure madre/figlio.

Si parla dell’amore, certo, ma nel suo senso più puro, dell’affetto, del volersi bene, del desiderare nulla se non il bene dell’altro. E nel film i passaggi naturali dello scoprirsi sono snocciolati, scanditi, quasi enumerati.

La Forma dell'Acqua - Tutto un fatto di respiro

La Forma dell’Acqua – Guillermo Del Toro

Prima di tutto, prima ancora del contatto, dello sfiorarsi, si stabilisce un linguaggio comune, il più semplice possibile, che riduca quasi a zero il rischio di ambiguità. E per farlo non serve parlare. Come tra madre e neonato (ancor di più tra madre e figlio non ancora nato). Come in una relazione che sta sbocciando. Tipo tra tipetta e tipetto/creatura marina.

Serve solo una cosa: che i due tipetti coinvolti sappiano cosa l’altro sta indicando. Serve comunione. E per quello bastano gesti ed espressioni. Ché le parole, si sa, sono ambigue. Soprattutto quando inizi a legarle tra di loro per sviluppare concetti complessi. E lì comincia spesso il casino, che tante volte pensi ‘sarebbe stato meglio starsi zitti’.

E ciò che più serve è tutto quello che definisce il bisogno: l’attenzione per l’altro e la cura. Che passa per il nutrirsi: di cibo, certo, d’occhi, sorrisi, piccoli gesti. E di musica. Come faceva mia madre quando, con me in grembo, ascoltava ‘La Madama Butterfly’ o De Gregori. Come fa la tipetta con il tipetto/creatura marina a cui fa ascoltare I Know Why di Glenn Miller da un vecchio giradischi.

And why do I see rainbows 
When you’re in my arms? 
I know why and so do you”

E ancora nessun contatto. Nessuna parola. Nessuna ambiguità. Eppure è già amore. Puro. Come tra tipetta e tipetto/creatura marina. Come tra me e mia madre.

Tutto un fatto di respiro - DisGuido Luciani

Così s’impara a parlare senza bisogno di parole. Che poi arrivano pure quelle e spesso complicano un po’ le cose (leggi “ambiguità semantica”), ma se le basi sono solide la comunicazione (almeno quella non verbale) resta il nucleo forte della comunione.

A questo punto, non resta che sperimentare, o meglio, sperimentarsi l’uno nell’habitat dell’altro. Tipo il bambino che, finalmente fuori dal grembo, scopre e impara a muoversi nel mondo della madre. Tipo, più in là nel tempo, più avanti nelle esperienze, quando dici “Dai, vieni a casa mia”, “ti faccio conoscere i miei amici”, tipo “guarda, qui è dove passo le mie giornate”.

E da questo punto in poi diventa tutto un fatto di respiro: nutrirsi della “aria” dell’altro. E poco importa che l’altro respiri un’aria diversa dalla tua. Che sia quella inquinata di una grande città metropolitana o il tabacco di una sigaretta da dividere. O proprio un altro mondo: dentro o fuori dall’acqua.

E poi capita che i respiri si facciano sospiri. Come quando, involontariamente, ti liberi, ti svuoti di tutta l’aria che hai. Che dentro quell’aria mica c’è solo aria: c’è l’inquinamento della grande città metropolitana, quel che resta del tabacco della sigaretta divisa. Ci sei tu, il tipetto, la tipetta, pure tua madre c’è. E tutto l’amore del mondo. Perché quando il respiro si fa sospiro è lì che capisci: in quel preciso istante sei esattamente dove devi essere. Che l’aria quasi non ti serve nemmeno più.

Tutto un fatto di respiro - DisGuido Luciani

Foto di Rosa Lacavalla (progetto ‘FOCU’) 

Certe volte, poi, il respiro si fa ansimare. Ed è un frastuono. E non c’è più un habitat. Non è il tuo. E non è neanche il suo. Non è l’aria inquinata della metropoli, né il fumo della sigaretta in comunione. Nessuna parola. Nessuna ambiguità. E, sì, è già amore. Che sia fuori o dentro l’acqua.

“And why do I see rainbows
when you’re in my arms?
I know why and so do you”

Un fatto di respiro, certo. Di sospiri, anche. D’ansimare, a volte. Ed è un fatto di ritmo. Soprattutto. Che i respiri, anche questo si sa, devono sincronizzarsi. E sapere quando è il momento di scindersi.

Quale che sia la tua “natura”, che tu sia tipetta, tipetto, tipetto/creatura marina, madre, figlio, quale che sia la tua lingua, la tua provenienza, a prescindere da tutte le differenze, dagli ostacoli, dalle paure, e pure dalle ambiguità, che sia fuori o dentro l’acqua: non si può prescindere dal respiro.

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