All posts tagged: Musica

«What a mad delusion / Living in that confusion»

Canzoni di Charles Manson 22.15, inizi agosto. Si profilava, nel pomeriggio, un splendido temporale estivo, annunciato da lampi lontani e qualche tuono. Ma non è successo niente, alla fine. Le particelle di azoto sono rimaste sospese nell’aria, nel limbo tra l’essere e il non essere, nel margine instabile della perdizione. Evidentemente, il fenomeno, mi ha dato un po’ alla testa, come il cloruro di metile faceva andare su di giri i sommergibilisti nei battelli della prima e della seconda guerra mondiale, travolgendo l’equipaggio in smanie, depressioni, stati di euforia, follia omicida, allucinazioni. Non lo scrivo per giustificare quanto fatto in seguito, anzi, me ne assumo tutte le responsabilità, alzando le barriere soprattutto agli occhi dei più bigotti, di quelli che vengono presi generalmente da facile sconcerto. Il fatto è che mi piace scavare a fondo nelle faccende, osservare i fenomeni da più punti di vista, esterni, interni, dall’alto, dal basso, di lato. Capire le ragioni delle vittime e dei carnefici, cercare di fare un po’ di luce e gettare qualche ponte per costruire vie sghembe …

4tet – mi sono fatta un giro tra i suoni dei Tanake

4tet - mi sono fatta un giro tra i suoni dei tanake

— Perché dovrei parlare con te? Dimmi. Non sapevo neppure esistessi fino ad un attimo fa ed è mezzo minuto che ti dico di andare. E, sai, mi prude il naso. Proprio adesso. E devo scegliere se grattarmi o parlare. Se stare in me o non stare affatto. E poi è morta Mary Ann, li dove è nata, a Macungie, Pennsylvania. L’ho conosciuta un anno fa che aveva già 93 anni, e l’ho fotografata mentre le visitavano gli occhi. Aveva una pelliccia di plastica tigrata, le mani profumate di qualcosa. Ha riso con me, tutto il tempo e poi è andata via. Proprio come ieri, quando la figlia mi ha scritto che il giorno prima le ha chiesto di cercarmi, che voleva ringraziarmi di averla fatta ridere tanto, per dirmi che quel giorno e i giorni che sono venuti era stata felice. Hai capito? Sai di cosa parlo? Hai ragione, nulla che ti riguardi, cose che prudono il naso. Che domanda è? Ho pregato fno ai sette anni. Poi silenzio, ché il tempo vale. Ah …

La Rivoluzione ai tempi della Brexit: Kate Tempest, la poetessa che ‘rappa’

[una disguida non convenzionale sulla spoken-word poetry incazzata nell’Europa che dorme] di Disguido Luciani     Picture a vacuum / Immaginate un vuoto An endless and unmoving blackness / Un buio immobile e senza fine […] it’s been a long day, I know, but look – / […] la giornata è stata lunga, lo so, ma guardate – In now / Entrate, adesso In / Entrate Fast / Presto A guardarla non lo direste che Kate Tempest è una dura, una ribelle. Anzi, la voce più dura e ribelle dei giovani d’Europa. A guardarla non direste neppure che Kate Tempest è una poetessa. Anzi, la poetessa più acclamata dell’ultima generazione di poeti inglesi. E no. Tantomeno direste che è una rapper. Anzi, la rapper più sorprendente della spoken-word poetry. Eppure, Kate Tempest, capelli biondi da tipica ragazza inglese, carnagione pallida da tipica ragazza inglese, occhi chiarissimi, ancora una volta da tipica ragazza inglese, all’apparenza un’Adele come ce ne sono tante a Londra, certo, meno raffinata e attenta al make-up, a trentatré anni è stata definita …

Kurt e la mia infanzia

Da bambina trascorrevo molto tempo nella casa dei miei nonni paterni. I fratelli di mio padre sono molto giovani. Considerate che il suo fratello più piccolo ha solo sei anni in più di me. Tutti nella famiglia hanno sempre avuto una passione sfrenata per la musica rock. Nelle due camere comunicanti c’erano sempre pile di vinili, musicassette e cd. Appeso al muro di una di esse c’era un bellissimo poster di Bob Marley. Nell’altra invece ricordo molto bene un poster dei Rage Against The Machine. Insomma, sono cresciuta ascoltando buona musica. I miei zii la domenica, prima di pranzo, si sedevano sul divano nella sala imbracciando una chitarra acustica e strimpellavano spesso i grandi classici. In quella camera c’erano due chitarre acustiche, due chitarre elettriche e un basso, insieme a una quantità indefinibile di plettri. Oltre a suonare per noi, due dei miei zii avevano una band, gli Area 51. Abbiate pazienza, era la fine degli anni ’90. Una volta mia zia, l’unica sorella di mio padre, mi fece il frisé, quella orrenda piastra con …

Le metamorfosi e le sirene di Nick Cave

Il 9 settembre uscirà il nuovo album di Nick Cave e i suoi Bad Seeds. Si intitolerà Skeleton Tree e sarà preceduto dall’uscita del film One More Time With Feeling, nei cinema esclusivamente per la sola notte di giovedì 8 settembre. Nel frattempo ho deciso di riascoltare Push The Sky Away (2013), ultimo album in studio della formazione capitanata dal talento australiano. Un album composto da nove brani che si apre con We No Who U R, singolo che anticipò l’uscita del lavoro della band nel dicembre del 2012. Nick Cave, rigorosamente pronunciato tutto d’un fiato, è un’icona non solo musicale, ma un flusso creativo fatto a persona che si perde per le strade del teatro, del cinema e della scrittura — solo per citarne alcune. Il suo è un corpo che viene risucchiato nei vortici che contraddistinguno il suo talento come un’entità mai ferma nell’angolo del ring. Sa continuamente mettersi in gioco, e le sue mirabolanti imprese gli riescono in ogni singola sfumatura di colore. La track list dell’album è il miglior manifesto che possa trasmettere …

Lucio Battisti e la percezione dell’amore

Non sono mai stata una da musica italiana. L’ho sempre trovata forzata rispetto alla fluidità che caratterizza quella inglese o americana. Gli artisti italiani in circolazione -parlo di quelli più commerciali- non li ho mai neanche considerati. “Sono solo canzonette”, dice in chiusura un noto brano di Edoardo Bennato del 1980. Non sono nemmeno una grande fan degli eccellenti esempi di cantautorato italiano (De Gregori, Dalla e compagnia bella, per intenderci.) L’unico punto debole che ho è Lucio Battisti. Ecco, lui mi piace. Trovo che i testi siano poetici. Le melodie mi stregano. Nell’ultimo periodo è come se lo sentissi nell’aria. È una storia molto strana, perché è cominciato tutto verso la fine dell’inverno. Ho riascoltato Amarsi un po’e, che ci crediate o meno, mi ha lasciato di sasso come riesce a farlo solo il tepore della primavera (“però volersi bene no”). Mi trovavo in un periodo di transizione, uno di quei passaggi obbligati: restare a galla o sprofondare nello spleen. Da un lato c’era la fine del freddo, l’accidia, e dall’altro Battisti mi diceva costantemente che la vita …

Musica, Eggregora, Omid Jazi, Tooting Bec

Quando ascoltate un brano vi ponete mai domande che vorreste fare a chi ha prodotto quei suoni e quelle parole? Oggi dalle domande non se ne esce vivi. Ho proposto questa apparentemente semplice ma insidiosa intervista a Omid Jazi, di cui abbiamo già parlato in quella che non amo definire una recensione di Tooting Bec, il suo secondo album in studio. E’ stata una chiacchierata su ciò che ruota intorno ai pianeti che compongono il mondo artistico di Omid, che ha da poco rilasciato il video del suo brano Eggregora. Chi è Omid Jazi? Figlio di emigrati, uno che non ha visto una famiglia per la maggior parte della propria vita. Che non ha conosciuto la stabilità. Che per questo fa di tutto per creare il proprio mondo. Cosa ti ispira nella vita di ogni giorno? Rispetto a tutto quello che potrei immaginarmi, un passerotto sul marciapiede mentre cammino, un bambino che chiude gli occhi rivolto al sole e sorride, qualcuno che aiuta un bisognoso per strada, un amico che mi chiede come stai? In cosa credi? …

Fenomenologia di Lana Del Rey

Gli artisti, di qualsiasi categoria facciano parte, creano un personaggio. Pensate a gente del calibro di Bowie, Wharol, Capote. C’è un fulcro, una base d’appoggio attorno alla quale ruotano diversi altri aspetti e caratteristiche peculiari. Quelli che ti fanno affermare la grandezza di un personaggio pubblico.  Poi ci sono altri tipi di personaggi, che mutano in modo camaleontico, sfruttando l’onda di una linea generale, o creandone una tutta loro. Pensate a Lady Gaga. Lei è l’esempio più immediato che abbiamo di trasformismo nel mondo della musica. Tant’è che Miss Germanotta ha creato un alter ego maschile, Jo Calderone, sotto le cui spoglie si è presentata ai VMA nel 2011. Uno dei personaggi camaleontici che preferisco è Lana Del Rey, all’anagrafe Elizabeth Woolridge Grant. Le sue prime apparizioni in televisive, parliamo del 2012, sono impacciate, timide e se da un lato inteneriscono lo spettatore empatico, dall’altro permettono ai più critici di dire: “Ma chi è questa tardona?” Se non fosse che Lana già in quel caso stava interpretando il suo (neanche primo) personaggio. Se scavate nelle profondità dell’archivio …

The less I know the better: una surreale visione (tra pon pon, King Kong e pop art)

di Valentina Rinaldi Un classico. Giovani studenti e i loro sguardi che s’incrociano in silenzio. Il pallone da basket che rimbalza e riecheggia nella palestra e lungo i corridoi insolitamente deserti di un liceo qualsiasi. Sospiri. La musica che ancora non parte. Vai dentro, dunque, oltre quel silenzioso affanno. La camera che s’infila nell’angusto armadietto, passa rapida tra pochi essenziali oggetti in penombra, sfiora prima un libro, poi sneakers, canotta appesa a lato, e poi vai al centro della scena, ecco, la banana gialla, tra un gorilla in miniatura adagiato e un trofeo di basket. Vai oltre, dunque, vai dentro quello sfacciato richiamo voyeur. La luce filtra dalla fessura, lo sguardo si fa curioso, denso e affannoso, e scivola complice su quella scena e tra le cosce spalancate della provocante innocente fanciulla. Vai a quel sospiro, nel bel mezzo di un tormento carnale. Cambio di scena: la musica fa sollevare il capo e dilatare quelle palpebre a fessura tremolanti. Le immagini esplodono, ammiccano e solleticano. E via, via, togliete dalla faccia quel sorrisetto da liceale …

Father John Misty vs. Josh Tillman: incontri che cambiano le prospettive

Ad oggi, 29 dicembre 2015, sarete sicuramente tutti (o quasi) impegnati nei preparativi per il vostro Capodanno. Che lo passiate in famiglia o altrove, prendetevi un paio di minuti per staccare dal delirio delle festività. Conoscete Father John Misty, aka Josh Tillman, no? Bene. Ho ascoltato e riascoltato The Night Josh Tillman Came To Our Apt. ed ho guardato e riguardato il video del brano, trovandolo poesia pura. Pare che nel videoclip Father John Misty e Tillman si incontrino per caso in un caratteristico bar americano. I due si ritrovano a chiacchierare al bancone come due perfetti sconosciuti. Cominciando a bere insieme. Questo è il preambolo di una serata di baldoria che prosegue in casa di John, tra cocaina e tuffi in piscina. La bellezza poi arriva nel momento in cui John e Josh si baciano e fanno l’amore. Ma ci pensate? Baciare sé stessi? Ha un significato molto profondo. Svegliarsi il mattino successivo, da soli nel letto, come nel miglior copione americano. Ripercorrere con la mente i frame della notte precedente. Accorgersi del mal di testa dovuto a quello …