Sognando California

L’altro giorno ho scritto un racconto ambientato a Los Angeles. La protagonista aveva lasciato il sud Italia per la California. Niente, mi sono divertito un po’, come faccio di solito. Ho immaginato un appartamento di un posto in cui non sono mai stato — e in cui vorrei tanto andare, com’è normale che sia. Ho collegato i fili della mia immaginazione e mi sono lasciato trasportare in un luogo che non so nemmeno come profuma. Non c’è nulla su cui scherzare, gli odori sono importanti. Il resto l’hanno fatto i libri, la musica, i film e le serie TV che tanto mi hanno fatto perdere la testa per il made in USA.

Los Angeles, l’acerrima nemica di New York. La città californiana dove fa caldo tutto l’anno, con tanto di Babbo Natale in costume da bagno, e si suda come se non ci fosse un domani. La rivalità tra i due simboli per antonomasia degli Stati Uniti è qualcosa che non si smette di respirare, anche nei momenti meno opportuni. Bret Easton Ellis ha provato ha gettare un ponte che le collegasse, mettendo su un fitto dialogo iniziato con Meno di zero e finito con American psycho. Pur rimanendo un tentativo personalissimo dello scrittore attualmente riconosciuto per lo sfoggio che ha fatto di sé stesso per la campagna pubblicitaria Persol — hai tutto il mio rispetto, BEE –, la linea della continuità narrativa tra le due metropoli ha lasciato il segno. La stessa cosa l’ha fatta Judd Apatow con la produzione prima di Girls e poi di Love. Anche il protagonista di Californication Hank Moody vive nella Los Angeles hollywoodiana provando malinconia per gli anni trascorsi nella Grande Mela — con tanto di riferimento a Kurt Cobain e la sua morte.

Tra le tante altre cose che amano fare gli americani c’è quel maledetto viaggio on the road da una costa all’altra, un viaggio che ha segnato generazioni intere, divenendo una tappa fondamentale da realizzare nella propria vita. Prendi un’auto e parti, oppure mettiti sul ciglio della strada e sfoggia i tuoi pollici come fece Jack Kerouac. Non importa se il percorso verrà affrontato in solitario oppure con la compagnia giusta; resta necessaria la partenza, e con essa tutto il fascino di lasciare qualsiasi cosa ti appartenga per dimenticare finalmente chi cazzo sei. Prassi vuole — sì, quella cosa scontata che viene fuori dai romanzi o dai film che ci hanno trasmesso questo maledetto morbo — che lungo il viaggio perderai la tua anima per poi ritrovarla completamente vestita di abiti nuovi quando meno te l’aspetti. Ed ecco che allora si parte per questo viaggio lungo 2789 miglia da macinare in 41 ore, 38 se non c’è traffico (Fonte: Google Maps). Personalmente preferirei partire proprio da New York, magari lasciando alle mie spalle un clima mite, tendenzialmente freddo, per poi arrivare a Los Angeles dove ad accogliermi ci sarà un caldo avvolgente.

Lì nella California, dove la gran parte delle città si sono viste protagoniste del tanto famigerato e agognato fenomeno urbano dello sprawl — Los Angeles e San Francisco sono nate in questo modo, non prendiamoci in giro –, la vita sembra che sprizzi gioia da tutti i pori. Questo appannaggio che puntualmente prende forma nelle nostre menti, viene messo da parte proprio da quello che i libri, i film, le serie TV e — non ultima per importanza — la musica, hanno messo in chiaro fin dal loro concepimento. Niente è come sembra, ci mancherebbe altro, ma la realtà si manifesta attraverso il giusto equilibrio, il giusto mix — chiamatelo come volete –, fino a tonificarsi gli addominali. Gli artisti sgretolano il muro che fa da facciata/simbolo al posto e lo ricompongono secondo la propria follia. Una scelta questa che viene perseguita e allo stesso tempo ricercata seguendo i percorsi stracolmi di maledizione — da Steinbeck a Fante, passando per le luci di Hollywood e arrivare fino a Don Winslow.

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Nel mio caso, l’immaginazione diventa immediatamente la materia principale in cui i sogni piantano le loro radici. Se continuo ad amare la musica di Father John Misty — e il suo volto come sinonimo dell’artista — o quella di Jake Smith con il suo progetto The White Buffalo, non ho niente di cui lamentarmi. Una contaminazione tira l’altra, per questo gli scrittori californiani che più preferisco non smetto di trattarli come fossero divinità venute a raccontarmi quella parte di Mondo. Loro hanno tirato in ballo tante cose che, accomunate l’una all’altra, danno vita alle caratteristiche di stili di vita da me lontani miglia e miglia. La malinconia, la tristezza e il fallimento che brillano dietro a quella grande scritta sulla collina, riesco a sentirle più vicine, come se fossero facilmente tangibili.

Più di una volta ho sentito dire, e leggere, la fatidica frase: «Se mai dovessi vincere alla lotteria, farei i bagagli e partirei per un viaggio in America». Parole come queste esprimono davvero un concetto base su cui sono fondate le nostre esistenze. Desideri che alimentano i sogni che non smettiamo di fare ad occhi aperti. I conti in banca prosciugati dai pagamenti in scadenza — o inesistenti per tutti quelli che non ne hanno nemmeno uno — ci riportano con i piedi per terra. Allora ci facciamo prendere dalla paura di volare e di tutto quello che ne consegue — lavoro, famiglia, amanti, gattini, amici e usurai. Rimanere fermi è la cosa migliore. Per evitare la disillusione ci creiamo un’illusione che ci consente di rimandare la meta, oppure tante altre cose che nel quotidiano non cessano di assillarci.

Il calderone dove finisce tutto quello di cui ci nutriamo continua a bollire, imperterrito davanti all’impossibilità che una cosa avvenga. Oggi vorrei essere libero di dire che, secondo un mio personalissimo sondaggio fatto di sentimenti ed emozioni varie, a vincere la sfida tra LA e NY è la prima. Magari la prossima volta dirò che la seconda merita molto di più. Questa è la precarietà di un giudizio espresso a pelle, a caldo, a primo impatto e così via. Se l’amore per una città nasce dall’energia sprigionata dall’eccessivo lavoro dell’immaginazione, be’, non preoccupatevi. Prima o poi verrà fuori qualcosa che vi riporterà sulla terra ferma, con i piedi ben saldi al vostro appartamento di città o alla vostra casa di campagna. Però, insomma, se strappate un biglietto vincente, fare le valige non è poi così difficile.

Il surf, i Beach Boys, le feste sulla spiaggia e gli eventi per pochi esclusivi nelle villette che hanno riempito le pagine di romanzi e racconti memorabili — e dei giornali scandalistici. La California di James Franco e delle sue mirabolanti imprese divise tra cinema, teatro, letteratura, musica e arti visive. La stessa California dei sempre più affascinanti green doctors, che creano lunghe file interminabili fuori i loro ambulatori composte da residenti locali e turisti provenienti da ogni parte del mondo. In questo fumo denso che racchiude gli usi e i costumi di uno degli stati simbolo di un’intera nazione, il californiano è lì pronto ad aspettare il tuo arrivo. Ti accoglierà sorridente e un po’ spazientito per via della chiusura della sua ultima start up. Non dimenticare che è pur sempre nella terra della Silicon Valley.

Io nel frattempo ho deciso di rimanere a crogiolarmi su Google Maps, nei libri, nella musica e nelle serie Tv — perdonatemi, non vedo un film da parecchio, forse due mesi. Los Angeles la osservo e me l’immagino così: colma e vuota allo stesso tempo, con o senza l’utilizzo di filtri Instagram, splendente come non mai.

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