Come la neve.

Come la neve
[di Andrea Vincent Lupino]

 

Come la neve.

Presi una bottiglia vuota dal pavimento e la scaraventai con forza contro uno di quei muri. Ed eccoli là. Frammenti di vetro. La mia mente. Avrei voluto raccogliere tutti quei pezzettini per poi stringerli forte tra le mie mani. Avrei voluto rotolarmici sopra, nudo, e ferirmi fino a dissanguarmi, volevo nutrire col sangue quel pavimento di legno che mi pareva così arido, così secco. Mi misi a piangere. Avrei dovuto fare qualcosa ma non sapevo cosa, avrei dovuto pulire, rispettare quel posto che mi aveva accolto solo un anno prima. Fino a quel momento avevo sempre amato Bruxelles, anche se pioveva fin troppo di frequente, ma ora era come se mi trovassi in un quadro strappato raffigurante una qualche apocalisse nucleare.

Andai in bagno e iniziai a vomitare.

 

E Sara aveva ragione. Avrei dovuto cambiare la puntina del mio giradischi. Ormai non le contavo nemmeno più le volte in cui me lo aveva ripetuto. Sara che era proprietaria della galleria d’arte a dieci minuti da casa mia. Sara che mi aveva presentato Amelie.

– Ho una ragazza che lavora per me che potrebbe darti una mano a sistemare questo posto.

Accettai. In fondo, perché no? Piacere Amelie, piacere Andrea. Le solite cose. Quelle che poi iniziate a frequentarvi e vi mettete insieme. Credo sia successo quella sera quando siamo usciti dal Delirium Café. Ed entrambi avevamo bevuto un casino. Non ho mai amato battezzare un giorno di inizio di una storia. Forse perché poi ti senti in dovere di festeggiare la ricorrenza. Era una sera fredda anche se finalmente aveva smesso di piovere. Dicevi di amare Bruxelles nelle sere di aprile.

In quelle notti di primavera ti parlavo. E se dopo aver fatto l’amore ti addormentavi continuavo a parlarti lo stesso. Eri stretta a me e ti sentivo respirare e mentre di accarezzavo pensavo che la tua pelle di luna era fredda. Cercavo di trasmetterti calore, ma non ci riuscivo. Era una sensazione del tutto nuova e maledettamente strana. Poi aprivo gli occhi e forse stavo ancora sognando, ma andavo comunque a prenderti dall’armadio un’altra coperta. Anche quando ti vedevo dormire eri il mio spettacolo preferito. Il più bello del mondo. Avevi il profumo della notte. Eri la notte. Ma allo stesso tempo eri anche il giorno. Non riuscivo mai a dirti di no. Eri la fiaba della buonanotte, quella che fa addormentare felice una bambina, eri la musica perfetta appena accendi la radio, l’onda perfetta che porta via i pensieri.

 

E Sara avevi ragione. Avrei dovuto cambiare la puntina del mio giradischi. Me lo avrai ripetuto mille volte ma non ti ho mai ascoltata.

 

Poi nei parchi in autunno a calpestare foglie, nelle serate passate A la Bécasse o al Madame Moustache, che se fosse arrivata una figlia l’avresti chiamata Charlotte. Era bello come ridevi e parlavi senza prendere mai pause appena bevevi un po’ più del solito. E la mattina dopo ti ho anche comprato un anello.

Eri nata la notte di Natale. E volevi festeggiare. Tu che mi hai sempre detto di odiare il giorno del tuo compleanno. Una cena con me, Sara e uno degli artisti scoppiati che frequentava. Nevicava di brutto a Bruxelles quel ventiquattro di dicembre. Oggi ricordo solo le auto per le strade, le ore gonfie di rumore, le mie mani fredde. Strade. Le commesse, le vetrine. La neve. La vigilia di Natale. Io e Sara nel traffico che poi bestemmi anche se non dovresti. Perché è Natale. Anzi, la vigilia di Natale.

E penso che non me ne era mai fregato nulla del Natale, ma quell’anno c’eri tu. E prendo in mano il Samsung e ti mando un messaggio per dirti che forse tardiamo perché voglio andare a comprare la puntina del giradischi. In quel negozio che mi hai detto. Perché stasera ogni cosa deve essere perfetta. E non posso alzarmi da tavola perché il vinile salta. Che se ti graffio il disco ti incazzi pure. E Amelie sta scrivendo… va bene, allora scendo io a comprare il vino.

 

Un botto di gente in quel fottuto negozio. Come sempre, Sara avevi ragione… perché cazzo non l’hai comprata prima che è un anno che te lo ripeto? Hai ragione, come sempre avevi ragione. Che potevamo andare noi a comprare il vino.

 

E mi vibra il telefono in tasca che sono ancora nel traffico. AMELIE. In grande sul display del mio Samsung. Rispondo. Ma non sento nulla. Rumori di strada. Voci. Poi una voce. Maschile.

– Pronto? (…) Andrea? Parlo con Andrea?
Non riesco a collegare i pensieri. Forse annuisco. Il tipo dall’altra parte alza la voce.

– Abbiamo trovato il cellulare addosso a questa ragazza… c’è stato un incidente. E lei era il primo nome nella rubrica. L’auto dell’investitore è fuggita… pronto? Mi sente…?

A. Come Andrea. Perché non cercare Mamma? O Papà? No. Andrea. Il primo nome in rubrica… che tante persone in seguito mi hanno confidato che sono il loro primo nome in rubrica.

L’anello. L’anello che era nascosto in casa. Al sicuro. Poi tutto che diventa buio. Di colpo.

 

E oggi mi piace pensare ad Amelie come fosse la neve. Un qualcosa che quando cade ti si appoggia delicata sul viso e ti regala un piccolo bacio freddo. Solo per un attimo, poi si scioglie e scivola via, ma che se fissi il cielo e aspetti è pronta a baciarti di nuovo e poi ancora…

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