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Grigio notte

È quasi notte e piove. Piove sempre in questa città grigia che non è la mia. E ho sbagliato scarpe, me ne accorgo solo adesso che sento l’umidità salirmi su per tutto il corpo. Aspetto il tram, l’ultima corsa. Una serata fuori, con le solite persone, con le scarpe sbagliate e piove. Mentre aspetto mi accendo una sigaretta, che a quest’ora è sempre l’ultima rimasta nel pacchetto. Osservo le goccioline d’acqua scendere sul plexiglas della pensilina, su una pubblicità sbiadita di non so che cosa e su una scritta lasciata da qualcuno, che si intravede appena, il silenzio c’è. Sorrido, è come “Dio c’è”, penso. Ecco arriva il tram, mi piove sulla testa quando salgo, l’autista borbotta qualcosa su questo tempo “che non perdona”, annuisco e mi siedo. Tram vuoto e autista assonnato. Qualche fermata dopo, sale un altro viaggiatore, in questa notte grigia e senza scampo. Resta in piedi, il Viaggiatore, e incrociamo lo sguardo, inevitabilmente. Lui ha gli occhi grigi, mi sembrano grigi, in questa notte infinita e senza colore. È un attimo, solo un interminabile momento. …

Out of the Blue

  Mi infilo nella sua doccia mi lavo il collo le mani il torace le gambe e l’acqua fredda mischiata al sudore del contatto diverso mischiato all’odore senza odore dell’acqua fredda ghiacciata l’acqua ghiacciata sul corpo come nei pensieri paradossale metafora per uccidere il pensiero che non voglio averlo più questo pensiero. Di amore. Di niente. Un Assedio qui nel bagno che devo sempre avere delle foto per avere la certezza dell’accadimento. Di questo. Di questa decisione di uccidere il pensiero. Sciocco. Labile. Da idiota. Le lacrime le lascio camuffare all’acqua che viene giù. Il freddo. È uguale. E fuori dalla doccia stendo le braccia e lascio cadere l’asciugamano che copriva coprire non posso non voglio il mio sesso un pezzo di libertà o qualcosa di simile. Scatto.   La rappresentazione. Penso. Il pensiero. Piango. Lacrime bianche sperma del pensiero che non si uccide in un pomeriggio sotto la doccia che non si uccide neanche nel tempo a venire che non si uccide perché non voglio forse alla fine ucciderlo. Che io cazzo sono chiusa …

La casa sul faro

Foto di Sara Mignogna Eppure sembrava tutto così maledettamente vero. Intere giornate di pioggia buttati nel letto a disquisire sul futuro, a progettare la casa sullo scoglio vicino al faro così, dicevi, prima o poi una sera avremmo potuto assistere a qualche salvataggio di navi e dare soccorso ai naviganti offrendogli un tè fumante, il nostro preferito. Viaggi programmati alla perfezione: un anno una meta scelta da te e quello successivo da me. Estati, invece, da trascorrere in casa. Tanto il mare lo avevamo già! Ma è arrivato l’ennesimo inverno e continuo a restare solo io nella resa di un’assenza che è ancora mistero e nostalgia, e le tue tante, innumerevoli, inconcludenti parole. Testo e foto di Sara Mignogna

This is a Lie.

But this isn’t truth this isn’t right This isn’t love this isn’t life this isn’t real This is a lie Qualche anno fa un carissimo amico mi ha regalato, durante una delle nostre notti, un libro di fotografie di Dave McKean (illustratore e artista geniale, nonché collaboratore storico di Neil Gaiman). Il titolo del librino è Black and White Lies. Io e il mio carissimo amico ce ne siamo detti di bugie. Senza motivo alcuno, a ripensarci oggi. Ma nelle storie a due non si può mai sapere dove finiscono le verità e dove cominciano le menzogne. Il confine labile delle cose, sempre. A definire. L’ho riaperto oggi quel libro a proposito di LIES. E di botto mi sono venute in mente un po’ di cose. Tipo che dopo avere mentito occorre buona memoria. Oppure che da ragazzina ho mentito circa un tipo bellissimo che avrei limonato seduta stante e invece mi sono ritrovata a essere oggetto di desiderio di buona parte della frangia gaia del liceo. Che ho raccontato a mia madre che ero …

La confessione

Bugie e mentire son le cose che faccio più spesso. Non con gli altri ma con me stesso. Per esempio sto mentendo anche in questo momento e te, cara casadiringhiera, devi perdonarmi. Dunque sono un auto-mentitore seriale. Di quelli che le cose le han fin troppo chiare e proprio per colpa di questa chiarezza, son costretti a mentire per chiudere gli occhi la sera. Non faccio male a nessuno. A volte nemmeno a me stesso. Mentire serve. E chi lo nega è ipocrita. Anzi, un bugiardo. Come me. Ho iniziato quando da piccolo mi costringevano ad andare a confessarmi. Io non avevo nulla da dire al prete. E dopo 5 minuti di “esame di coscienza” decisi che mentire dicendo di aver detto qualche bugia, poteva essere il giusto argomento per impegnare il tempo che va dal preambolo iniziale all’assegnazione della penitenza e del perdono. Col senno di poi avrei potuto abbracciare il prete come Danielino con don Salvatore Conte e prendermi il perdono in quel modo. Uno start del genere comunque non avrebbe potuto portarmi …

La Salvaguardia del Sé

  Non penso di essere mai stato pienamente sincero. Non ho mai avuto il coraggio di raccontare la realtà perché confrontarmi con la fantasia era molto più facile. Quando stavo dietro i banchi di scuola credevo a tutto ciò che la maestra diceva, dalla sua bocca le parole risulta- vano molto credibili e io non ero così sveglio da smontarle. Dal giorno in cui le cifre sulla mia torta di compleanno divennero due, qualcosa in me cambiò, una sorta di consapevolezza mi vestì con abiti nuovi, che puzzavano di domande strane, di bugie un po’ meno minuscole, di paure. Quindi man mano che crescevo mi rendevo conto che quei vestiti pesavano e mi cambiavano la forma del corpo, persino la mia mente cominciava a pensare a cose diverse, a cose più tristi; non avevo il privilegio di essere differente, ero proprio come tutti gli altri, solo che non lo sapevo. Mentre l’adolescenza sfumava via dalla mia vita e la predisposizione all’insi- curezza si stabilizzava all’interno, adop- eravo strategie per modificare un po’ quello che era …

Il fantasma di Dubravka — Cap. V

Lo squillo sonoro della linea interna. La segretaria annunciò: “Signor Svetlan, una signorina vuole vederla..” “Falla entrare!” — la interruppe l’energica voce dell’investigatore. Qualcuno bussò alla porta. “Prego, signorina Velikovà, entri pure!” La donna entrò con aria stranita. L’ufficio era in perfetto ordine: solo una scrivania dietro la quale sedeva Svetlan, due quadri surrealisti, un ficus nell’angolo, due divanetti ai lati della stanza, un tappetto persiano, due sedie di plastica, una luminosa finestra che dava sul centro storico e addobbata da sottili tendine bianche. “Come fa a sapere il mio nome?… E soprattutto come faceva a sapere che ero io?” — fece Simona, cercando di decifrare lo sguardo dell’uomo dietro la scrivania. Svetlan mostrò i denti sornione, accendendosi una sigaretta: “Abbiamo una telecamera che dà sulla strada. La mia segretaria mi ha avvertito che in una macchina c’erano due poliziotti che litigavano. Uno di questi, una signorina bionda dalla spiccata bellezza, è uscita sbattendo il portello e si è indirizzata verso questo ufficio. Lei forse non sa di essere molto celebre nell’ ambiente giudiziario, sia per la sua bravura …

Il fantasma di Dubravka — Cap. IV

Alex stava aspettando Maria per la cena. Erano ormai due mesi che convivevano e sin dall’inizio lui si era preso la briga di farle trovare la cena pronta ogni sera. E la cena era stata preparata con cura, data la particolare ricorrenza. Dovevano festeggiare, il loro amore era decollato negli ultimi mesi e le cose stavano andando a gonfie vele. Alex non se lo sarebbe mai aspettato: dopo la rottura con Milena cinque anni prima, aveva cominciato a pensare che forse non avrebbe mai più trovato una persona da amare, una persona che potesse stare così a lungo con lui, un persona con cui condividere almeno un tragitto d’esistenza o, chissà, magari tutta la vita. Era felice Alex. Maria era così simile a lui, ma al contempo così diversa. Si sentiva finalmente compreso ma anche arricchito da una donna che, con la sua dolcezza e la sue pazienza, compensava gli aspetti più bruschi e irrazionali che spesso egli stesso si rimproverava. Aveva cucinato un arrosto con patate che già emanava un profumino estasiante e sedeva …

Ciao e basta

di Francesco Tacconi Stavo bene al buio. C’era silenzio. Un silenzio pacifico. Come me. In pace e senza pensieri. Al buio. Tenevo gli occhi aperti. Poi chiusi. Era uguale. Stavo bene e basta. Poi dalla finestra è cominciata a filtrare la luce. Prima debole e diffusa. Poi. Lentamente. Si è fatta sempre più violenta. Raggi che filtravano tra gli scuri a illuminare un’aria fatta di pulviscolo galleggiante. E l’ansia è cresciuta con la luce e con i raggi è diventata mal di testa. Fitte lancinanti mentre suonava il campanello e correvo a vedere chi era ed era mia moglie con la spesa che ha preferito suonare che prendere la chiave. Piena di borse com’era. Per fare prima ha detto entrando. Mentre mi chiedevo dove fosse andata a fare la spesa così presto. Mentre portava dentro le cose e mi chiedeva di darle una mano e io nonostante le fitte la aiutavo. E mi chiedevo quando fosse uscita. Stavo bene, ma non dormivo. Al buio. Era uscita prima. Quando per non sentirla? Di notte? Era piena …

Elogio alla solitudine

di Francesco Tacconi Il rumore delle sue scarpe vecchie le piaceva tantissimo. Mutava in modo delizioso, prima sul marciapiede, poi su un tombino, sul marmo sporco e di nuovo sull’asfalto. E’ strano definire il suo modo di camminare, coincideva perfettamente con lo stato d’animo, ed entrambi cambiavano spesso, in maniera quasi impercettibile, come un nuvolone nero che si staglia in cielo senza essere visto da nessuno. Piccoli passi brevi e rapidi per un umore pensieroso, distante. Va veloce anche se non è in ritardo, come se la puntualità fosse una prerogativa di ogni appuntamento, anche se, senza dubbio l’anticipo risultava alla fine la qualità migliore, non ne poteva fare a meno. Ampi movimenti delle gambe per i giorni grigi, quando, stizzita, supera la gente lenta per strada, che si blocca in mezzo alla via. Le sue falcate spedite sono modi per lasciare l’incazzatura alle spalle, ma con gli occhi fermi su un punto a caso davanti a sé e le labbra serrate, mostra la sua irritazione verso il genere umano, che a volte la rende …