Lilah

You’re the night, Lilah

A little girl lost in the woods

You’re a folktale

The unexplainable

You’re a bedtime story

The one that keeps the curtains closed I hope you’re waiting for me

’Cause I can’t make it on my own I can’t make it on my own

(Morphine “The Night”)


Nel silenzio straripante di solitudine di questo bar vedo una coppia al tavolo di fronte che estrae il cellulare dalla tasca della giacca. In contemporanea, quasi in sincrono. Quasi fosse un gesto preparato da tempo. Tanto tempo.
Da quando han proibito di fumare nei locali, lo smartphone ha sostituito la sigaretta.

Che i silenzi possano mettere a disagio lo dicevano anche in Pulp Fiction. John Travolta e Uma Thurman seduti al tavolo del Jack Rabbit Slim’s.
Ed eccolo lì. Il disagio. L’argomento di conversazione che proprio non arriva. Panico. L’ansia di dover dire per forza qualcosa. Non posso fumare qua dentro allora tiro fuori lo smartphone. E li vedo ridere. Cosa che pochi attimi prima nessuno dei due faceva. Quando lo spirito è così digitale, il corpo agisce in questo modo, diceva Marilyn Manson.

Questa immagine mi svuota. Completamente. A tal punto da abbassare lo sguardo e tornare al mio libro. Impiego qualche secondo a trovare il punto in cui avevo interrotto la lettura.

Amo leggere al bar seduto al tavolino. Le persone che entrano ed escono, il rumore del cucchiaino sul piattino della tazzina, la macchina del caffè che sbuffa creano il mio sottofondo ideale. Guardo l’orologio e manca poco alle sette. Devo fermarmi a comprare il vino. Per la cena. Una ragazza seduta poco distante da me tossisce, è parecchio pallida, cerca calore stringendo forte le mani ai lati della tazza del suo tè. Ha due occhi azzurri meravigliosi e probabilmente un’influenza in arrivo.

Una sera tu mi hai guardato e mi hai detto che noi due non ci ammaleremo mai perché a forza di baciarci ci siamo scambiati tutti gli anticorpi possibili. E poi ti sei messa a ridere e mi hai baciato ancora. E senza accorgermene chiudo gli occhi per rivedere il film di quel momento.

Pago ed esco dal bar, mi dirigo verso l’enoteca per comprare una bottiglia di vino. Rosso. Ho in mente quella cosa che mi hai detto la sera prima. “OK non stiamo insieme ma se scopi con un’altra voglio che tu me lo dica”. Cammino verso casa tua quando una mano mi tocca la spalla. Mi giro e mi trovo di fronte la ragazza del bar. A venti centimetri dal mio viso i suoi occhi sono ancora più belli. Silenzio. Perché non posso smettere di guardarli. E parole non ne trovo. Mi era caduta la Moleskine e non me ne ero nemmeno accorto. E lei me l’ha riportata. La ringrazio, vorrei ricambiare, ma non so in che modo. Allora decido di regalarle il mio libro coi racconti di Gibson. Non lo conosce.

“Mi chiamo Lilah. Credo significhi ‘notte’ o comunque qualcosa legato alla notte”.

“Io Vincent. E non so cosa significhi a dire il vero”. E mi sento uno sfigato.

“Vincent te la fumi una sigaretta”?

Ci sediamo su una panchina poco più avanti. Mentre fumiamo guardo lei seduta avvolta nella sua giacca di pelle. Sta tremando e quella sera fa parecchio freddo. Osservo la magrezza delle sue gambe, le sue calze nere con qualche filo tirato, i capelli lunghi e mossi. Lilah, in completo silenzio, era meravigliosa da ascoltare. E mentre ci baciamo mi dice che abita proprio nel palazzo di fronte.

Mi ritrovo sul quel letto, sfatto e l’aria è immobile. Riapro gli occhi mentre Lilah sta uscendo dal bagno. La pelle di cera. Dice di non sentirsi bene per nulla. Si infila una felpa presa dal mucchio di vestiti sulla sedia e poi si infila sotto le coperte. Ma che cazzo ho combinato?

Guardo l’ora. Merda. Sono le otto e un quarto. E mi devo pure rivestire. Coglione.

Mi infilo le scarpe e mi viene troppo da piangere. Raramente mi ero sentito così solo in vita mia.
E stasera fa un freddo polare. Metto gli auricolari alle orecchie e un disco dei Morphine. Fanculo.

Tu detesti quando arrivo in ritardo. Suono il campanello. Tu che mi apri senza dire nulla.

Nemmeno te lo devo dire che ho scopato con un’altra perché me lo leggi in faccia.
Sì. Hai perfettamente ragione. Sono un testa di cazzo che rovina sempre tutto. Non hai nemmeno avuto il bisogno di urlarlo.
Poi te ne vai e sbatti la porta della camera da letto.

Silenzio.

E mi siedo a tavola. Da solo. Apro la bottiglia.

E brindo al silenzio.

A.V.L. 31/10/2017

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